venerdì 1 aprile 2016
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Tripoli è nel caos. E l’arrivo di Fayez al-Sarraj sembra aver scompaginato anche il fronte Alba della Libia. La vecchia coalizione è in frantumi. Misurata è spaccata. Idem la Fratellanza musulmana. L’ex qaedista Abdel Hakim Belhadjdi prende tempo. È il grande artefice dello sbarco di Serraj e sta tentando di ricucire con gli irriducibili di Tripoli. Ora come ora, non esiste nessuna delle pre-condizioni per l’avvio della missione internazionale nel Paese. L’alchimia tribale è sepolta dal 2011. E le ipotesi di intervento a terra vacillano di fronte a un triplice interrogativo: quale forma dare alla missione; con quali contingenti e chi appoggiare univocamente. Da mesi, le forze speciali francesi, britanniche, statunitensi ed egiziane tessono le loro trame in Libia. Rispondono a comandi nazionali. E perseguono obiettivi specifici. Nei piani, l’Italia dovrebbe assumere il comando della “Liam”: la Lybian international assistance mission, subordinata al futuro del governo Sarraj, al voto delle Nazioni Unite e alla buona volontà dei partecipanti. La strategia è molto limitata. Una parte della missione dovrebbe presidiare le infrastrutture strategiche, le sedi istituzionali, i pozzi e i terminal energetici. Un’altra si occuperebbe della preparazione militare delle forze di sicurezza nazionali. Ma quali? La verità è che per stabilizzare il Paese, disarmare le milizie e impedirne la frantumazione occorrerebbero 100-150mila uomini. Lo dicono le “lezioni” degli ultimi conflitti. E il generale a tre stelle che comanderà la Liam le conosce benissimo. L’Italia potrebbe mettere in campo 45mila uomini, per lo più dell’esercito. Il comando della divisione Acqui fornirebbe veicoli e strutture campali, per consegnare le redini del quartier generale multinazionale al personale della Friuli. Il grosso del contingente proverrebbe dalla brigata paracadutisti Folgore, dai fucilieri di marina e dagli incursori delle forze speciali. Alla forza terrestre potrebbero contribuire anche i britannici, con tanto di ufficiali nella catena di comando. Né gli algerini, né gli egiziani sarebbero della partita. Per la guerra al “Califfato” in Libia sembra aprirsi un capitolo a parte. Si farà prevalentemente dall’alto. Con una missione che precederà la Liam, differenziandosene. Un po’ come avvenne nell’Afghanistan degli esordi, quando sul campo c’era chi combatteva e chi stabilizzava. L’intervento dei nostri Tornado in Libia non sarebbe ancora «all’ordine del giorno», ma si avvicina. Vedremo che cosa succederà nelle prossime ore al vertice di Washington. La componente aerea potrebbe essere schierata in un primo tempo a Trapani, poi in un aerodromo libico sicuro. Comprenderebbe cargo C-130, droni Predator, Reaper e Tornado, utili anche per la ricognizione. Quattro cacciabombardieri AMX sono già in allerta a Trapani, per coprire ogni evenienza. Ma siamo sicuri che non si ripeterà lo scenario del 2011? All’epoca, francesi, britannici e statunitensi tennero aerei, navi e uomini sotto comando nazionale, a dispetto del tanto sbandierato “vertice” interalleato di Napoli. È verosimile che non si legheranno le mani neanche stavolta, per perseguire agende non necessariamente coincidenti con le nostre. E nemmeno con quelle libiche. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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