David Cameron è Bruxelles per un vertice che potrebbe cambiare la condizione e il destino di Londra nell'Unione europea. Sono le richieste sulle quali chiede
un accordo per potersi battere a favore della permanenza britannica nell'Unione che sarà sottoposta a referendum popolare entro il dicembre 2017, probabilmente già nell'estate prossima.
Qualora non ci fosse un accordo soddisfacente il premier britannico è pronto a fare campagna per l'uscita del Regno Unito. Scenario altamente improbabile, ma non del tutto impossibile. I punti del contenzioso per evitare Brexit al centro del summit di Bruxelles sono: sovranità e integrazione, competitività, diritti all'assistenza sociale per lavoratori intracomunitari, relazioni fra Paesi euro e non euro.
Il primo punto, quello su cui si concentra forse di più
l'attenzione mediatica,
riguarda il welfare, e in particolare gli
assegni familiari per i cittadini Ue non britannici residenti nel
Regno Unito. Cameron vorrebbe una introduzione graduale della
parità con i "social benefit" pagati dallo Stato a questi
"stranieri dell'Ue", per un periodo di sette anni prorogabili due
volte per tre anni (13 anni in tutto), e un'indicizzazione dei
pagamenti riferita a quelli analoghi che dà il paese d'origine
dei migranti. Gli altri paesi, e la Commissione, non intendono
andare oltre sette anni totali (4+2+1), con i quattro paesi del
gruppo di Visegrad (Polonia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica
ceca) che "tirano" per ridurre il periodo di transizione e
insistono perché il nuovo meccanismo non sia retroattivo e si
applichi solo a partire dal momento in cui l'accordo con Londra,
dopo il referendum, sarà tradotto in norme di legislazione
secondaria dell'Ue.
Il secondo nodo è quello su cui è forse più difficile per
Cameron ottenere quello che chiede, o qualcosa che gli si
avvicini: un meccanismo che
garantisca gli interessi del Regno
Unito e della City di Londra nelle future decisioni e nella
gestione, da parte dell'Ue e dell'Eurozona
nel campo dell'Unione
bancaria, del mercato unico finanziario e dell'ulteriore
integrazione in questi settori.
Londra vorrebbe il diritto di
intervenire in queste decisioni, e quasi un potere di veto,
ricorrendo alla cosiddetta "clausola di Joannina", in decisioni
che sono di norma prese a maggioranza qualificata. Ma i paesi
dell'Eurozona non sembrano aver l'intenzione di cedere su questo.
ll terzo punto riguarda
l'impegno, chiesto da Londra,
a inserire delle modifiche che
confermino l'accordo nei Trattati Ue la prossima volta che
saranno emendati, senza tuttavia che ci sia bisogno di queste
modifiche, nel frattempo, per attuare comunque quanto prevede
l'accordo stesso. Il Belgio si oppone a questa formulazione. Sempre il Belgio, più di altri, si
oppone anche all'altra formulazione relativa all'esenzione,
concessa alla Gran Bretagna, dalla parte del Trattato Ue che
impegna tutti i suoi Stati membri a una "unione sempre più
stretta" ("ever closer union").