DAL CAIRO GILBERTO MASTROMATTEO « I Fratelli musulmani sono arrivati in massa, hanno sradicato le tende, lanciato bottiglie molotov e preso a pugni i manifestanti. Molti di loro erano armati ». Wahel Sabry mostra i segni delle percosse ricevute al capo e sulle braccia, durante i violenti scontri di ieri sera tra i dimostranti pro e anti Morsi, al Palazzo presidenziale di Ittahandiya, nel cuore del quartiere cairota di Heliopolis. Il bilancio sarebbe di almeno due morti e centinaia di feriti da una parte e dall’altra. Anche se il ministero della Sanità ha negato i decessi. «Qualcuno ha tentato di reagire lanciando delle pietre, poi ci siamo riparati nelle vie limitrofe ed è iniziata la battaglia», testimonia Wahel, uno degli studenti del Movimento 6 aprile, che martedì scorso avevano marciato verso la residenza presidenziale, costringendo la polizia a ritirarsi e Mohammed Morsi ad abbandonare l’edificio. Ci si attendeva una reazione da parte dei sostenitori del presidente egiziano, specie dopo la convocazione di una contro-manifestazione a Heliopolis, da parte dei Fratelli Musulmani. Ne è venuto fuori un feroce combattimento, proseguito per ore, anche dopo l’arrivo degli agenti anti-sommossa. La rabbia dei supporter del capo di Stato si è scagliata sulle migliaia di manifestanti che avevano trascorso la notte accampati davanti al palazzo presidenziale, dove ieri mattina Morsi è tornato regolarmente a lavoro. «La responsabilità di quanto accaduto ricade interamente sul presidente Morsi – ha dichiarato ieri Mohamed El Baradei, in rappresentanza del Fronte di salvezza nazionale, in una conferenza stampa congiunta con gli altri due leader Amr Moussa e Hamdin Sabbahi – la sua legittimità è ormai compromessa». E dire che, durante l’intera giornata si erano susseguiti gli inviti alla moderazione da parte del presidente e del suo staff. Il portavoce alla presidenza Yasser Ali aveva invitato le parti a non contrapporsi violentemente in strada. E, in serata, anche l’Università islamica di al-Azhar ha esortato alla calma. L’incertezza istituzionale è totale. Di ieri sera la notizia delle dimissioni di tutti i 17 consiglieri del presidente. E da più parti sembra ormai chiaro che Morsi stia valutando di congelare il controverso decreto costituzionale che accresce i suoi poteri e che ha scatenato le proteste dei 18 movimenti liberal-democratici riuniti nel Fronte di salvezza nazionale. L’ipotesi è stata ventilata dallo stesso vice capo di Stato, Mahmoud Mekki. Quest’ultimo, però, ha confermato il referendum costituzionale. Che sembra l’unico dato certo. «Quello si terrà il 15 dicembre, come previsto», ha dichiarato Mekki. Ma le prove tecniche di guerra civile in atto al Cairo, stanno creando preoccupazioni anche a livello internazionale. «Auspichiamo un processo costituzionale aperto, trasparente e giusto – l’invito del segretario di Stato americano Hillary Clinton, impegnata nel vertice Nato in corso a Bruxelles – un dialogo che sia davvero aperto e non favorisca un gruppo religioso, politico e sociale ». A preoccupare è il futuro, specie con riferimento alla situazione dell’ordine pubblico nel Paese. Nella notte varie sedi del partito dei Fratelli musulmani sono state incendiate tra cui Ismalia e Suez. «Lo scenario è da guerra civile – osserva Ahmed Sawam, responsabile del centro culturale Abgadeya, anche lui a Heliopolis per protestare contro Morsi – ci hanno attaccato a Ittahandiya, se lo faranno anche a piazza Tahrir, ci sarà un bagno di sangue». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sostenitori dei Fratelli musulmani e di Morsi all’attacco di fronte al palazzo presidenziale al Cairo (Epa)