18 giorni che hanno cambiato la storia dell’Egitto, e che probabilmente modificheranno gli assetti strategici di tutto il Medio Oriente, sono iniziati in sordina tra le righe della rivolta tunisina. Per giorni interni i giovani egiziani hanno guardato con ammirazione e invidia quanto accadeva a Tunisi, maturando la consapevolezza della possibilità di una svolta che si stava affacciando in Nord Africa. A metà gennaio, quando la destituzione del presidente tunisino Ben Ali segnava la vittoria della “Rivoluzione dei gelsomini”, hanno preso coraggio. E sono passati dalla Tv ai computer.La rivolta è iniziata così, di tastiera in tastiera, su blog e social network. I Fratelli musulmani, principale gruppo di opposizione al Cairo, nemmeno si erano accorti del rimestio di frustrazione rabbia che stava coalizzando sul Web la parte più giovane e vitale del Paese. Chiusi nelle loro prospettive ideologiche, non erano in piazza quando, il 25 gennaio, il movimento di protesta nato su Internet proclamava la «Giornata della collera », dando vita alle prime manifestazioni per chiedere la fine del regime di Mubarak. Quel giorno, quindicimila ragazzi sceglievano piazza Tahrir come il luogo in cui tutto sarebbe ricominciato.
Le «Giornate della collera». La Giornata della collera vien presto declinata al plurale, perché i manifestanti non ci mettono molto a capire che indietro non si torna, che “si può” andare sino in fondo, come in Tunisia. Le «Giornate della collera» si estendono così al 26 e 27 gennaio, con manifestazioni partecipate al Cairo e nelle altre città. Il regime di Mubarak non perde tempo: agenti in assetti anti-sommossa, lacrimogeni, proiettili di gomma e colpi di arma da fuoco sparati in aria entrano nelle cronache egiziane come fu, a suo tempo, per quelle tunisine. Mohammed el-Baradei, ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica e uno dei leader più rispettati dell’opposizione egiziana, rientra in tutta fretta al Cairo. Migliaia di manifestanti lo accolgono festanti all’aeroporto: cercano un volto per la rivoluzione.
Il blocco delle comunicazioni. Il 28 gennaio entrano in scena i Fratelli musulmani. Con un tentativo maldestro di recuperare il ritardo di sensibilità, proclamano il «Venerdì della collera» e tentano di strutturare politicamente la rivolta. Il regime, intanto, non molla e con una reazione lenta e tardiva impone un blocco totale di Internet e telefonia. È la prima volta al mondo che un Paese intero viene completamente “sconnesso”, isolato. La censura, peraltro efficacemente bypassata dai giovani della rete, suscita la violenta reazione della Comunità internazionale, Stati Uniti in testa, che chiedono alle autorità del Cairo di rimuovere immediatamente i blocchi. Mubarak tenta un’apertura nominando vice-presidente il capo dei Servizi segreti Omar Suleiman. Ma gli scontri proseguono. E il regime interviene con la mano pesante: 100 le vittime della repressione secondo fonti indipendenti, 300 secondo l’Onu.
La «Marcia del milione». Il primo febbraio scendono in piazza al Cairo oltre due milioni di persone. La “Marcia del milione” segna la svolta nella rivolta egiziana: per la prima volta in trent’anni l’ipotesi che il “Faraone” se ne vada diventa una possibilità concreta. Piazza Tahrir è percorsa da un brivido quando viene annunciato un discorso di Mubarak alla nazione. Qualcuno pensa alle dimissioni. Non sarà così: il rais annuncia che non si ricandiderà alle elezioni di settembre, promette riforme, ma resta al suo posto.
Il rischio guerra civile. In piazza cominciano a comparire i primi cortei pro-Mubarak. I fedelissimi del regime attaccano i manifestanti in piazza Tahrir. Almeno dieci persone muoiono negli scontri tra fazioni. Il rischio di una guerra civile attraversa il Paese.
Il «Venerdì della partenza». Due milioni di persone tornano in piazza al Cairo. È il «Venerdì della partenza», anche se il presidente Hosni Mubarak non parte per nulla. Si dimettono però tutti i vertici del suo partito, il Pnd. Sono le prime crepe che sgretoleranno l’apparato. Suleiman tenta un dialogo con le opposizioni, annuncia due Commissioni indipendenti che faranno le riforme. Ma il rais resta dov’è. E la protesta si rafforza. I manifestanti si accampano in piazza Tahrir, determinati a non andarsene fino alle dimissioni del presidente.
Il discorso alla nazione. Il 10 febbraio fonti ufficiali annunciano che alle 21 Mubarak parlerà alla nazione per annunciare le sue dimissioni. Piazza Tahrir esulta di gioia. Poi la doccia fredda. In tarda serata il rais compare in Tv: si dice pronto a cedere i poteri ma annuncia anche di voler restare al suo posto. Qualcuno parla di un messaggio registrato. Qualcuno dice che è solo un ultimo, estremo, tentativo di restare in sella. Ma la rabbia esplode tra i manifestanti. Si trasformerà in euforia il giorno dopo, quando verranno annunciate le dimissioni di Mubarak. La fine di un regno durato 30 anni. Una caricatura di Hosni Mubarak viene issata dai giovani su un semaforo nel centro del Cairo (Epa)