Ci svegliamo come sempre la mattina presto, con il sole che è già caldo alle 5 e mezza e l’umidità che sale dal terreno bagnato della pioggia torrenziale della notte. E il pensiero va subito lì: la pioggia. È incredibile la violenza della pioggia ai tropici, ma lo è ancor più quando si pensa alla gente sotto le tende nella sterminata moltitudine dei campi terremotati che ormai costellano la città. Come starà la nostra gente degli accampamenti, dopo questa ennesima notte di diluvio? Sono ancora in 4mila solo nei nostri due campi sotto solo un telone di plastica. Troppo poco per queste piogge...Con questo pensiero, il sonno passa in fretta. Ci si prepara veloci: la solita maglietta bianca con il logo dell’Avsi, lo zainetto, la borraccia d’acqua. Arriviamo a Cité Soleil in tempo per aprire le attività della giornata. Degli 80 collaboratori, assistenti sociali, facilitatori di terreno e professionisti di vario tipo, una buona meta è in orario, ed è già un grande risultato. Ci aspettano davanti alla tenda-ufficio, prima di raggiungere i vari tenda-dispensari dove le mamme sono in fila, coi bimbi al collo, il ticket in mano, in attesa di un medico che tante, tantissime volte, ha fatto la differenza tra la vita e la morte in quelle oltre 8.400 visite mediche snocciolate dal terremoto ad oggi. Ci aspettano, come ci aspettavano il primo mattino di quel 13 gennaio, il nostro “Day After”. Ma da settimane vediamo qualcosa di nuovo nei loro occhi, qualcosa che ci fa sperare che forse abbiamo imboccato la via giusta. In questi sette lunghi mesi di lavoro intenso e a volte sfibrante, poco a poco, abbiamo visto i sorrisi tornare, prima timidamente nei visi dei bambini, poi anche negli adulti. Adesso, a volte, ci sembra di sentire la gente parlare al futuro, pensare al mese di settembre, al prossimo anno scolastico. Ci sembra una conquista enorme e li incoraggiamo. Ci stupisce ogni volta vedere come si parli sempre al plurale. Vengono a trovarci nelle nostre tende-ufficio e ci dicono «noi facciamo», «noi faremo». Un «noi» che in creolo significa «io e te». Per mesi, non abbiamo sentito null’altro che richieste sempre rivolte al «voi»: voi che venite da fuori, con i mezzi, con il cibo, con le tende, con gli elicotteri... Voi che tenete in mano la nostra vita, anche se è una vita che ormai vale ben poco... Piano piano il «voi» si è trasformato in un «noi». E così anche le nostre attività si sono trasformate. Da un mese non distribuiamo più cibo, ma cuciniamo insieme alle mamme nella tenda-nutrizione, mentre l’infermiera spiega come fare una pappa nutriente al massimo per i bimbi con quel pugno di farina che hanno. È la «loro» pappa, non il cibo distribuito dagli stranieri.Da quindici giorni le tende-scuola progressivamente chiudono e vengono sbaraccate per lasciare spazio alle fondamenta, le fondamenta delle «nostre» scuole. È duro costruirle, ma anche questo abbiamo scelto di farlo insieme. Non ruspe affittate a 2500 dollari al giorno, ma pale e picconi per tutti, e lavoro per 25 giorni a 20 papà dei nostri bambini. Sono stati proprio loro a proporci di usare così i fondi disponibili. Ci hanno fatto capire che sarebbero stati orgogliosi di portare a casa loro uno stipendio per la prima volta dopo 7 lunghi mesi. E così le nostre fondamenta avanzano, anche se un po’ lentamente. Ma, proprio perché costruite con la fatica di tutti le sentiamo più stabili. Ci sono almeno 3 scavi in corso, per altrettante scuole, per quasi 1200 dei 5mila bambini che fremono per tornare sui banchi a ottobre, come abbiamo incautamente promesso. Proprio loro, i bambini vengono ogni giorno a vedere come procede «la nuova scuola». Ci controllano, sono loro, a fissare dentro al buco con occhi sgranati, a dirci che dobbiamo procedere e se possibile in fretta.Non saranno ancora vere e proprie scuole, ma strutture «semi-permanenti», come si dice nel gergo della cooperazione internazionale: delle basi di cemento con uno scheletro di pilastri in metallo, e delle pareti in compensato, intanto che il governo decide quali sono le nuove regole per costruire. Questi progetti «semi-permanenti» sono un po’ l’immagine della nostra vita oggi: con le solide basi dei terribili giorni del dolore passati fianco a fianco, i pilastri dell’incrollabile fiducia nel futuro di questo popolo, le pareti provvisorie perché i confini del nostro domani ancora non le conosciamo bene.Intanto le ore passano veloci, i medici dei cinque ambulatori-tenda macinano visite a ritmo vertiginoso, riuscendo comunque ad avere un sorriso per tutti, una carezza per ogni bambino, una parola di incoraggiamento per ogni mamma. Questo perché ogni persona si deve sentire unica pur nella folla. Abbiamo cercato per lunghi mesi di avvicinare le nostre vite alle loro, uniti nella tragedia che ha annullato le distanze. Ora, poco a poco, cerchiamo insieme di avanzare verso i piccoli risultati di ogni giorno, che costruiscono il domani: le scuole questo mese, a settembre le mense scolastiche, a ottobre gli ambulatori. Ogni pietra posata insieme.Ieri il papà di Billy è arrivato alla tenda-appoggio psicosociale con la suo piccolo di 7 mesi attaccato come sempre al collo. Magro, ma pur sempre un po’ più in carne di quando l’abbiamo conosciuto il 13 gennaio, di pochi giorni e già senza la sua giovane mamma rimasta sotto le macerie. Il papa di Billy è venuto senza la lattina di latte speciale sostitutivo. «Se vieni senza la lattina vuota, non ti diamo quella piena, lo sai...», ha esclamato l’infermiera sorpresa. Da quando lo abbiamo conosciuto, si presenta sempre puntuale a prendere questa lattina di latte pronto liquido, grazie al quale Billy cresce sano, anche se magrolino. «Perché non hai la lattina?», ha chiesto l’infermiera. Lui ha risposto: «Ieri Billy ha mangiato la sua prima pappa. Ora ce la facciamo da soli. Siamo venuti a dirvi di cercare un altro piccolo a cui serve la lattina. Noi verremo lo stesso a salutarvi». E così ora c’è un bimbo in meno nei nostri lunghi elenchi dell’ambulatorio, ma c’è un sorriso in più nel cuore di tutti noi. Un sorriso costruito dalla grande tenacia di questo papà, di questo popolo, che, ne siamo certi, ce la può fare.