Vi sono pochi Paesi al mondo come l’Eritrea, i cui giovani rifugiati sono approdati in tutto il mondo occidentale. Spesso dopo aver rischiato la vita e visto morire figli, amici, mogli e fratelli nelle lunghe traversate nei deserti africani e del Mediterraneo, dopo aver conosciuto i rigori delle prigioni libiche e aver arricchito i trafficanti di esseri umani del Maghreb e del Nordafrica. Elsa Chyrum è una dissidente che li difende. Donna minuta, pacata e coraggiosa, vive a Londra, dove dirige l’associazione Human Rights Concern Eritrea. Nel variegato panorama della diaspora è considerata voce autorevole e informata.
Signora Chyrum, assistiamo all’esodo di una generazione dall’Eritrea. Qual è la situazione nel suo Paese per quanto riguarda i diritti umani?Ha raggiunto un livello senza precedenti persino nella storia coloniale. Non se ne parla perché mancano media privati o indipendenti dal 2001 e ci sono 30 giornalisti in carcere. Non si possono tenere riunioni con più di sette persone, non c’è libertà di parola né libertà religiosa. Internet è soggetto a censura, si può accedere solo da alcuni Internet café.
E i sindacati?Non ci sono organizzazioni di difesa dei diritti umani, né sindacati liberi. Nominalmente, esistono sindacati di donne, studenti e lavoratori, ma sono affiliati al regime. Manca inoltre un sistema giudiziario indipendente e si finisce in prigione a tempo indeterminato senza processo. Le condizioni di detenzione sono inumane. I prigionieri vengono spesso sottoposti a ogni genere di tortura. Quanto ai giovani, sono costretti a passare l’ultimo anno di scuola superiore nei campi di addestramento dell’esercito e l’università è chiusa per prevenire il dissenso. Il regime spende il 25% del bilancio, tasso più alto al mondo, in armi. L’economia è statalizzata e improduttiva perché i villaggi sono stati svuotati della forza lavoro.
Parliamo dei rapimenti di eritrei nel Sinai. In tutte le testimonianze raccolte compaiono complici eritrei dei trafficanti dal Sudan ai campi di prigionia nel deserto egiziano. Chi sono?Sospettiamo che in questa rete criminale vi sia il coinvolgimento di funzionari del governo, e siamo in grado di provarlo. Ma nel popolo eritreo dentro e fuori i confini non c’è ancora consapevolezza di quanto è accaduto nel Sinai e in Libia. Una parte della diaspora precedente l’indipendenza nega quanto sta accadendo e aiuta finanziariamente il governo, che noi riteniamo sia complice del traffico nel Sinai e di altri abomini contro il nostro popolo.
Gli oppositori fuggiti all’estero sono in pericolo?Spesso le sedi diplomatiche mandano agitatori a disturbare gli incontri e intimidire rifugiati e attivisti. So di aggressioni fisiche ad attivisti eritrei in Italia, Svezia, Olanda e Regno Unito.