DI FEDERICA ZOJA M entre continua la mobilitazione delle opposizioni egiziane – laica, liberale, di sinistra, cristiana, dei movimenti giovanili o semplicemente civica – alla svolta autoritaria del presidente Mohammed Morsi, si avvicina il giorno della consultazione costituzionale: il 15 dicembre gli egiziani saranno chiamati a ratificare una bozza approvata (il 29 novembre) dai soli deputati islamisti, salafiti e (presunti) moderati. Un testo di cui a più riprese si è sottolineato l’incipit, ma non il cuore. Ormai è cosa nota: l’articolo 2, peraltro senza soluzione di continuità rispetto alla precedente carta costituzionale, detta: «I principi della sharia (cioè, della legge islamica, ndr) sono la principale fonte della legislazione». E ancora, l’articolo 4 ribadisce che, in materia di legge islamica, può essere sollecitato il parere del grande imam di al-Azhar, moschea universitaria del Cairo che è il punto di riferimento dell’intero mondo sunnita. C’è dell’altro, come sottolineano gli attivisti egiziani, cristiani e musulmani, convinti che il testo non tuteli i diritti umani fondamentali. Al loro allarme si aggiunge quello delle maggiori organizzazioni internazionali, come Amnesty e Human rights watch in testa. Ecco alcuni articoli incriminati: l’art. 33 stabilisce che i cittadini «sono uguali nei diritti e nei doveri pubblici e non saranno discriminati». Nell’ultima versione della Costituzione, tuttavia, dalla lista delle cause di discriminazione sono stati rimossi il sesso, l’origine e la religione. Non sono previste tutele specifiche per migranti, richiedenti asilo né rifugiati. Come dire, solo per citare un caso, che per centinaia di migliaia di sudanesi scappati dalle violenze della loro terra e ammassati nelle periferie del Cairo, in attesa dello status di esseri umani, l’inferno continuerà anche nell’era di Morsi. Quanto all’articolo 219, che integra il numero 2 e definisce i principi della sharia «regole fondamentali della giurisprudenza», l’applicazione rende possibile discriminare le donne in materia di matrimonio, divorzio e vita familiare. Inoltre, benché l’art. 36 proibisca la tortura e gli altri maltrattamenti e l’uso nei processi di «confessioni» estorte con la tortura, non c’è divieto esplicito di utilizzare le punizioni corporali. L’art. 198, invece, prevede, forse a seguito delle pressioni dei rappresentanti delle forze armate nella Commissione costituente, processi di imputati civili da parte dei tribunali militari, come sotto la legislazione d’emergenza applicata sotto il regime di Hosni Mubarak. L’art. 45 garantisce la libertà d’espressione, ma l’art. 44 proibisce «l’insulto o l’abuso di tutti i messaggeri e i profeti». L’art. 67, pur menzionando il diritto all’alloggio adeguato, non proibisce esplicitamente gli sgomberi forzati dei cittadini (almeno 12 milioni di egiziani vivono in abitazioni precarie e abusive ai margini dei centri urbani). Infine, la Costituzione non stabilisce che un minore sia una persona che ha meno di 18 anni e non protegge i minori dai matrimoni precoci. C’è di più, l’art. 70 non vieta del tutto il lavoro minorile, una delle richieste della rivoluzione del 25 gennaio. Quanto ai rapporti con la comunità internazionale, la nuova Costituzione non riconosce la supremazia del diritto internazionale sulle norme interne e non chiarisce come l’Egitto potrà rispettare gli impegni contenuti nei trattati di cui è firmatario. Davvero troppi silenzi e troppe omissioni per quei milioni di egiziani che credono ancora nella Primavera. © RIPRODUZIONE RISERVATA