Soldato armeno sulla linea del fronte a Taghavard in Nagorno-Karabakh - Reuters
Il primo morto per fame è stato confermato il 14 agosto. Non è stata una fatalità. «È in corso un genocidio contro 120mila armeni che vivono nel Nagorno Karabakh», denuncia Luis Moreno Ocampo, fondatore della Procura della Corte penale internazionale e che insieme a un gruppo di giuristi internazionali ora chiede di aprire gli occhi sul tentativo di eliminare definitivamente la popolazione della regione che l’Azerbaigian vorrebbe riprendersi.
In lingua armena si chiama Artsakh, una repubblica de facto non riconosciuta internazionalmente, nella quale vivono da sempre gli armeni cristiani. Poco più grande dell’Abruzzo, ma con un numero di abitanti dieci volte inferiore, è un distretto montuoso con un’altitudine media di 1.100 metri.
I rapporti con Baku sono sempre stati tesi, mentre nuove ambizioni e antiche ruggini stringono i civili in una morsa senza scampo. Da mesi l’Azerbaigian (sostenuto dalla Turchia di Erdogan) ha bloccato l’unica via d’accesso, il corridoio di Lachin su cui dovrebbero vigilare i “peacekeeper” russi, alleati storici dell’Armenia, ma dove spadroneggiano le forze di sicurezza azere.
Un rompicapo che si aggroviglia per via della guerra in Ucraina. In un rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza Onu e alla Corte penale internazionale, Ocampo denuncia le operazioni dell’Azerbaigian che «impedisce l’accesso a cibo, forniture mediche e altri beni di prima necessità», e che per il gruppo di esperti guidati dall’ex magistrato argentino «dovrebbe essere considerato un genocidio», stando al diritto internazionale si configura il reato quando si tenta di «infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica».
All’inizio di questa settimana i primi armeni hanno abbandonato le loro case, lasciando forse per sempre la regione. Le condizioni di vita sono impossibili. Da quasi otto mesi non arrivano generi alimentari, né carburante e i farmaci giungono a singhiozzo dietro insistenza della croce rossa internazionale.
La direttrice dell’Ufficio di coordinamento umanitario dell’Onu (Ocha) Edem Wosornu, ha confermato che la Croce Rossa Internazionale non riesce a portare gli «imprescindibili» aiuti umanitari attraverso il corridoio.
Il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha accusato le autorità di Baku di aver bloccato il passaggio, usando la fame come arma in un’operazione «di pulizia etnica». L’Azerbaigian ha parlato di accuse «infondate» e di una «campagna politica».
Il Consiglio di sicurezza Onu ha chiesto all’Azerbaigian «l’apertura immediata» del corridoio di Lachin, che collega l’Armenia al Nagorno Karabakh. L’Onu ha approvato un documento con il quale Armenia e Azerbaigian vengono esortati a normalizzare i rapporti in vista di un trattato di pace e a rispettare gli accordi del 2020 firmati fra Erevan, Baku e Mosca, in virtù dei quali la Russia ha dispiegato una forza militare di interposizione.
Questa settimana le autorità azere hanno reciso il cavo di fibra ottica che attraversava la zona di Lachin, isolando definitivamente l’enclave armena che è privata di telecomunicazioni. Artak Baglarian, consigliere del ministero degli esteri dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, ha spiegato che dopo il danneggiamento le forze del Karabakh insieme ai militari russi hanno tentato di raggiungere la località dov’erano entrati in azione i guastatori, «ma la parte azera non lo ha permesso».
Il conflitto senza fine
Il Corridoio di Lachin è l’unica strada che collega l’Armenia all’enclave del Nagorno-Karabakh, all’interno del territorio dell’Azerbaigian. Poco più di 50 chilometri tra le montagne, formalmente si trova sotto il controllo del contingente di pace della Federazione Russa. Da circa otto mesi è pressoché impossibile attraversarlo.
Erevan e Baku si accusano a vicenda di aver ripreso le ostilità, dopo la tregua raggiunta nel 2020. Al crollo dell’Urss l’ex stato sovietico della Regione Autonoma di Nagorno Karabakh e la regione Shahumyan, popolata da armeni cristiani, si sono uniti per formare la Repubblica del Nagorno Karabakh (Nkr) che dichiarò l’indipendenza dall’Azerbaijan il 2 settembre 1991.
La Turchia si è subito schierata dalla parte dell’Azerbaigian (islamico ndr), suo alleato. Mosca è invece più vicina all’Armenia (cristiana ndr), sul cui territorio ha anche una base militare.