La Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra oggi, è incentrata quest’anno sul tema della “water cooperation”, la cooperazione per le risorse idriche. Obiettivo delle Nazioni Unite è di sottolineare la rilevanza della collaborazione tra Stati e popoli per un consumo più consapevole e una divisione più equa dell’acqua, spesso invece al centro di conflitti. Sono oltre un miliardo e 100 milioni le persone che nel mondo non hanno acqua sicura e 30mila coloro che ogni giorno muoiono per cause legate alla mancanza di risorse idriche o alla loro scarsa qualità. L’acqua è fondamentale nei processi di sviluppo sostenibile e indispensabile per mantenere l’integrità dell’ambiente, oltre che per l’eliminazione di povertà e fame. In Africa e Asia le donne percorrono in media sei chilometri al giorno per raccogliere l’acqua. Secondo l’Oms, ogni persona necessita di 50-100 litri di acqua al giorno. Ma se gli europei usano tra i 200 e i 300 litri di acqua al giorno, in Stati come il Mozambico non si arriva ai 10 litri. Disparità sempre più insostenibili.AFRICALa “idrodiplomazia” contro il caos del NiloLa chiamano «idrodiplomazia», la diplomazia dell’acqua, e non a caso. Perché è proprio per accaparrarsi le risorse idriche che in Africa potrebbe scoppiare la guerra delle guerre, quella per l’acqua, appunto. Così da ormai qualche anno è al lavoro una task force che tra mille ostacoli tenta di allentare le tensioni. Si chiama Nile Basin Initiative, l’Iniziativa per il bacino del fiume. Lì dove il fiume, manco a dirlo, è quel Nilo il cui bacino tocca dalle sorgenti al delta undici Stati africani. Il suo scopo è di «raggiungere uno sviluppo socio-economico sostenibile attraverso l’utilizzo equo delle risorse idriche comuni del bacino del Nilo». Da decenni i dominus della regione sono Egitto e Sudan, forti di trattati dell’era coloniale che attribuiscono loro quasi il 90 per cento dell’acqua del grande fiume. Un privilegio all’epoca in parte giustificato dalla maggiore popolazione dei due Stati rispetto agli altri e soprattutto da ragioni politiche, ma che oggi non regge più. Il punto più basso nei rapporti tra gli Stati coinvolti si è toccato nel 2010, quando cinque Paesi dell’Iniziativa hanno siglato un accordo di spartizione delle acque che ha subito il veto del Cairo e di Khartum. La paura egiziana è evidente se si pensa che già oggi la terra dei Faraoni ha sete. Il continuo aumento della popolazione e la salinizzazione delle terre ha fatto sì che la disponibilità di acqua per abitante, che nel 1990 era di 922 metri cubi, nel 2025 non supererà i 337. Ma anche i Paesi a monte hanno le loro ragioni, che vanno dalla siccità alle carestie. Così le fughe individuali in avanti non mancano. Come in Tanzania, che ignorando l’idrodiplomazia ha iniziato a irrigare la zona del Tabora con le acque del lago Vittoria, principale fonte di alimentazione del Nilo e quindi teoricamente ancora vincolata dai vecchi trattati coloniali. Nel 1979 il presidente egiziano Sadat, firmata la pace con Israele, disse che solo l’acqua ormai avrebbe potuto trascinare di nuovo Il Cairo in guerra. La speranza degli organismi internazionali è che quella «profezia» si riveli sbagliata.
Paolo M. Alfieri
MEDIO ORIENTELa pace ora piò sfociare nel Canale dei due mariSi chiama Canale dei due mari ed è un progetto congiunto fra Giordania, Israele e Autorità nazionale palestinese. Prevede il trasporto di acqua del Mar Rosso fino al Mar Morto e la desalinizzazione del prezioso “oro blu” per i tre Paesi mediorientali, accomunati dalla piaga della mancanza di acqua. Il piano non è nuovo, se ne è parlato fin dall’inizio degli anni duemila. Ma ciò che rappresenta un punto di svolta è l’autorizzazione della Banca mondiale al progetto, data infine all’inizio del 2013: mediante uno studio di fattibilità sulla condotta (della lunghezza di 180 chilometri con pendenze variabili a seconda dei tratti), il programma è stato definito compatibile con l’ambiente, con l’impatto sugli agglomerati urbani e con le necessità economiche dei Paesi coinvolti. Il rapporto è stato redatto da diverse società esperte in idrogeologia abituate a realizzare canali del medesimo genere, che hanno anche ipotizzato delle alternative. Ma la Valle della pace – così potrebbe essere in un’ultima battuta chiamata la canalizzazione fra i due mari – pare essere la più vantaggiosa. Innanzitutto, con un costo totale del progetto di 9,97 miliardi di dollari, dovrebbe salvare l’intera area dalla progressiva desertificazione, poi dal degrado sociale che la caratterizza. Ma soprattutto, la Bm ha visto nel canale un «simbolo di pace in Medio Oriente», si legge nello studio diffuso il 13 gennaio scorso. Al momento, il livello delle acque del Mar Morto, sempre più concentrate di sali e fanghi, cala al ritmo di oltre un metro annuo. In particolar modo a causa del continuo declino del flusso delle acque del fiume Giordano, unico affluente. E la scomparsa del Mar Morto avrebbe drammatiche conseguenze economiche sull’area non solo per questioni di approvvigionamento energetico, ma anche di tenuta del settore trainante del turismo. In base al piano approvato, dunque, nei paraggi della città costiera giordana di Aqaba il canale sboccherà sul Mar Rosso.