venerdì 22 marzo 2013
​Il tema della cooperazione sottolinea la rilevanza della collaborazione tra stati e popoli per un consumo consapevole e una divisione ecqua delle risorse.
La Santa Sede: è questione di diritto alla vita
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La Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra oggi, è incentrata quest’anno sul tema della “water cooperation”, la cooperazione per le risorse idriche. Obiettivo delle Nazioni Unite è di sottolineare la rilevanza della collaborazione tra Stati e popoli per un consumo più consapevole e una divisione più equa dell’acqua, spesso invece al centro di conflitti. Sono oltre un miliardo e 100 milioni le persone che nel mondo non hanno acqua sicura e 30mila coloro che ogni giorno muoiono per cause legate alla mancanza di risorse idriche o alla loro scarsa qualità. L’acqua è fondamentale nei processi di sviluppo sostenibile e indispensabile per mantenere l’integrità dell’ambiente, oltre che per l’eliminazione di povertà e fame. In Africa e Asia le donne percorrono in media sei chilometri al giorno per raccogliere l’acqua. Secondo l’Oms, ogni persona necessita di 50-100 litri di acqua al giorno. Ma se gli europei usano tra i 200 e i 300 litri di acqua al giorno, in Stati come il Mozambico non si arriva ai 10 litri. Disparità sempre più insostenibili.AFRICALa “idrodiplomazia” contro il caos del NiloLa chiamano «idrodiplomazia», la diplomazia dell’acqua, e non a caso. Perché è proprio per accaparrarsi le risorse idriche che in Africa potrebbe scoppiare la guerra delle guerre, quella per l’acqua, appunto. Così da ormai qualche anno è al lavoro una task force che tra mille ostacoli tenta di allentare le tensioni. Si chiama Nile Basin Initiative, l’Iniziativa per il bacino del fiume. Lì dove il fiume, manco a dirlo, è quel Nilo il cui bacino tocca dalle sorgenti al delta undici Stati africani. Il suo scopo è di «raggiungere uno sviluppo socio-economico sostenibile attraverso l’utilizzo equo delle risorse idriche comuni del bacino del Nilo». Da decenni i dominus della regione sono Egitto e Sudan, forti di trattati dell’era coloniale che attribuiscono loro quasi il 90 per cento dell’acqua del grande fiume. Un privilegio all’epoca in parte giustificato dalla maggiore popolazione dei due Stati rispetto agli altri e soprattutto da ragioni politiche, ma che oggi non regge più. Il punto più basso nei rapporti tra gli Stati coinvolti si è toccato nel 2010, quando cinque Paesi dell’Iniziativa hanno siglato un accordo di spartizione delle acque che ha subito il veto del Cairo e di Khartum. La paura egiziana è evidente se si pensa che già oggi la terra dei Faraoni ha sete. Il continuo aumento della popolazione e la salinizzazione delle terre ha fatto sì che la disponibilità di acqua per abitante, che nel 1990 era di 922 metri cubi, nel 2025 non supererà i 337. Ma anche i Paesi a monte hanno le loro ragioni, che vanno dalla siccità alle carestie. Così le fughe individuali in avanti non mancano. Come in Tanzania, che ignorando l’idrodiplomazia ha iniziato a irrigare la zona del Tabora con le acque del lago Vittoria, principale fonte di alimentazione del Nilo e quindi teoricamente ancora vincolata dai vecchi trattati coloniali. Nel 1979 il presidente egiziano Sadat, firmata la pace con Israele, disse che solo l’acqua ormai avrebbe potuto trascinare di nuovo Il Cairo in guerra. La speranza degli organismi internazionali è che quella «profezia» si riveli sbagliata.

Paolo M. Alfieri

MEDIO ORIENTELa pace ora piò sfociare nel Canale dei due mariSi chiama Canale dei due mari ed è un progetto congiunto fra Giordania, Israele e Autorità nazionale palestinese. Prevede il trasporto di acqua del Mar Rosso fino al Mar Morto e la desalinizzazione del prezioso “oro blu” per i tre Paesi mediorientali, accomunati dalla piaga della mancanza di acqua. Il piano non è nuovo, se ne è parlato fin dall’inizio degli anni duemila. Ma ciò che rappresenta un punto di svolta è l’autorizzazione della Banca mondiale al progetto, data infine all’inizio del 2013: mediante uno studio di fattibilità sulla condotta (della lunghezza di 180 chilometri con pendenze variabili a seconda dei tratti), il programma è stato definito compatibile con l’ambiente, con l’impatto sugli agglomerati urbani e con le necessità economiche dei Paesi coinvolti. Il rapporto è stato redatto da diverse società esperte in idrogeologia abituate a realizzare canali del medesimo genere, che hanno anche ipotizzato delle alternative. Ma la Valle della pace – così potrebbe essere in un’ultima battuta chiamata la canalizzazione fra i due mari – pare essere la più vantaggiosa. Innanzitutto, con un costo totale del progetto di 9,97 miliardi di dollari, dovrebbe salvare l’intera area dalla progressiva desertificazione, poi dal degrado sociale che la caratterizza. Ma soprattutto, la Bm ha visto nel canale un «simbolo di pace in Medio Oriente», si legge nello studio diffuso il 13 gennaio scorso. Al momento, il livello delle acque del Mar Morto, sempre più concentrate di sali e fanghi, cala al ritmo di oltre un metro annuo. In particolar modo a causa del continuo declino del flusso delle acque del fiume Giordano, unico affluente. E la scomparsa del Mar Morto avrebbe drammatiche conseguenze economiche sull’area non solo per questioni di approvvigionamento energetico, ma anche di tenuta del settore trainante del turismo. In base al piano approvato, dunque, nei paraggi della città costiera giordana di Aqaba il canale sboccherà sul Mar Rosso.

Federica Zoja
 
ASIA Ricetta della Cambogia al costo di 50 centesimiAttraversata dal possente corso del Mekong e con un importante riserva idrica nel bacino del Tonlé Sap, la Cambogia presenta un mosaico di aree soggette a alluvioni e altre dominate dalla siccità. La costruzione di stazioni di pompaggio alimentate dall’energia solare avviata la scorsa estate potrebbe garantire agli abitanti, secondo i piani del ministero dell’Agricoltura, Foreste e Pesca cambogiano, una vita meno incerta. Nella comune di Bosleav, nella provincia nord-orientale di Kratie, sono circa 150 le famiglie, su 1.573, selezionate per aderire al progetto gestito dalla locale “Associazione per l’acqua comunitaria”. Una iniziativa a basso costo, parte di un network che va estendendosi, che consente di convogliare l’acqua in cisterne sopraelevate da cui, per effetto della sola forza di gravità, viene distribuita alle famiglie a un costo medio di 50 centesimi di dollaro al mese, superando anche il problema della scarsa disponibilità di energia elettrica.Un progetto semplice ma che affronta temi che in Asia hanno una scala immensa: gestione e inquinamento delle acque, povertà delle popolazioni che non possono accedere a risorse primarie oppure non hanno la possibilità di pagare per esse, tecnologie inadeguate, interessi e speculazioni.Attualmente un asiatico su cinque (700 milioni) non ha accesso a fonti sicure di acqua potabile e 1,8 miliardi di abitanti non dispongono di servizi igienici essenziali. Per contrasto, la pressione sulle fonti di approvvigionamento è in crescita. Inoltre, avverte il Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima, entro il 2050 oltre un miliardo di asiatici sperimenteranno gli effetti negativi dell’evoluzione climatica sulle risorse idriche: minore produzione alimentare, impoverimento delle famiglie, crescente migrazione, maggiori tensioni e instabilità.
Stefano Vecchia
 
AMERICA LATINABolivia e Perù dialogano sulle sponde del TiticacaA cavallo fra la Bolivia e il Perù e ad un passo dal cielo – a 3.810 metri sul livello del mare – il Titicaca rivendica da sempre un record mondiale: è il lago navigabile più alto del pianeta. Incastonato nella catena delle Ande, con una superficie di oltre 8.000 metri quadrati, questo vasto specchio d’acqua dolce rappresenta un elemento di equilibrio termico fondamentale per la zona montuosa. Lago “sacro” per gli indios, è tuttora fonte vitale per quasi tre milioni di persone che vivono nei pressi del suo bacino: è risorsa idrica per le coltivazioni di mais e patate; è zona di pesca e di allevamento delle trote; è un potente polo d’attrazione turistica per decine di migliaia di stranieri che ogni anno visitano gli isolotti galleggianti degli Uros, costruiti su piattaforme di canne di totora.
Natura e politica qui coincidono. Il lago non è del tutto boliviano né peruviano: la sovranità è condivisa dai due Paesi vicini e viene gestita da anni sulla base della cooperazione. Nel 1987 le autorità di La Paz e Lima crearono il Pelt, il Programma speciale del lago Titicaca: un accordo bilaterale che funziona grazie a riunioni semestrali. «Il lago è una frontiera non conflittuale, di integrazione armoniosa fra il Perù e la Bolivia» sostiene il diplomatico peruviano Alejandro Deustua, citato dal portale di informazione ambientale “Tierra America”. Nonostante i programmi di collaborazione fra vicini, non mancano i problemi: primo fra tutti l’inquinamento crescente, causato soprattutto dai residui urbani e dai materiali tossici che arrivano nelle acque del Titicaca dalle attività di estrazione mineraria.
In Sudamerica esistono 38 grandi bacini idrici condivisi da più Paesi. Un paradosso ingiusto: il continente latinoamericano possiede quasi un terzo delle risorse di acqua dolce presenti nel mondo, ma 70 milioni di persone (su un totale di 500) soffrono per la scarsità di acqua potabile.
 
Michela Coricelli 
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