lunedì 19 gennaio 2009
L'esercito israeliano sta lasciando lentamente la Striscia. Ma fonti del ministero degli Esteri dello Stato ebraico fanno sapere che il ritiro non sarà completato prima dell'insediamento di Obama, e che non sarà totale.
L'INTERVISTA Margelletti: «Hamas non è stato piegato»
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In un'atmosfera di relativa ma sostanziale tranquillità, prosegue il ripiegamento delle truppe israeliane dalle posizioni su cui si erano attestate durante i 22 giorni consecutivi dell'Operazione "Piombo Fuso". Tuttavia, un completo ritiro dall'enclave palestinese almeno per ora non è previsto: nemmeno in considerazione del fatto che mancano poche ore all'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca. A una specifica domanda in proposito, infatti, una portavoce dell'Esercito dello Stato ebraico, Avital Liebovich, ha tagliato corto: «Per il momento di un totale ritiro delle nostre truppe non se ne parla». Sono così state indirettamente smentite le indiscrezioni, filtrate ieri sui mass media in Israele, secondo cui l'intenzione dello stato maggiore sarebbe invece stata quella di lasciare completamente Gaza prima dell'avvento di Obama come nuovo presidente degli Stati Uniti, così da non creare fin dalle battute iniziali imbarazzo a un tradizionale e fondamentale alleato. «Dipenderà dalla situazione concreta sul terreno», hanno commentato a loro volta fonti riservate del ministero della Difesa israeliano. «Stiamo progressivamente riducendo il numero dei nostri uomini nella Striscia di Gaza, ma le unità al di fuori di quel territorio le teniamo in allerta, allo scopo di reagire con rapidità a qualsiasi tipo di circostanza».  Ieri il vertice della Lega araba. Al vertice della Lega araba in Kuwait, il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha auspicato ieri la formazione di un governo di unità nazionale per arrivare a nuove elezioni politiche e presidenziali, da tenersi simultaneamente nei Territori palestinesi. «Occorre che tutti i palestinesi si riuniscano per trovare un accordo», ha affermato. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha esortato i leader arabi a unire i loro sforzi a sostegno dei tentativi di Abu Mazen di riprendere il controllo della Striscia di Gaza e ha annunciato che invierà in settimana una commissione speciale a Gaza per valutare la situazione umanitaria.Gli effetti del conflitto. La crisi ha offuscato gli ultimi giorni dell'amministrazione Bush e lanciato una grossa sfida al presidente Usa entrante, Barack Obama, che si insedierà alla Casa Bianca domani. Mentre i palestinesi a Gaza contano gli oltre 1.300 morti e si aggirano tra ciò che resta delle loro case, il capo di Hamas ha parlato di una "vittoria popolare" contro Israele. "Il nemico non ha raggiunto i suoi obiettivi", ha detto Ismail Haniyeh in un discorso. La tregua annunciata da Hamas, condizionata al ritiro di Israele entro una settimana, è stata una decisione "saggia e responsabile", ha aggiunto.Gli aiuti. Secondo l'istituto di statistica palestinese, circa 4.000 tra case e infrastrutture sono state ridotte in macerie durante il conflitto. Diplomatici occidentali hanno calcolato che per la ricostruzione servono 1,6 miliardi di dollari. Funzionari di Hamas, durante colloqui con i mediatori egiziani, hanno chiesto l'apertura di tutti i confini per l'ingresso di cibo, materiali e aiuti di base. Il presidente francese Nicolas Sarkozy - riunitosi ieri con i leader di Germania, Gran Bretagna, Spagna, Italia e Repubblica Ceca come presidente di turno dell'Ue per colloqui con il premier israeliano Olmert - ha chiesto a Israele di aprire i confini al più presto. Il primo ministro ebraico ha detto che il suo Paese vuole uscire da Gaza al più presto possibile e il suo portavoce ha aggiunto che "enormi quantità" di aiuti entreranno se la tregua reggerà.
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