«Vuoi vedere che riusciranno a considerare
dual-use anche la carta igienica?». Scherzano amaramente i blogger di Gaza City, postando sulla decisione del governo israeliano che domenica ha annunciato la revoca del blocco terrestre sulla Striscia. Scherzano ma neanche poi tanto, perché finora la carta igienica era proibita davvero e perché la lista dei prodotti che verranno concessi ai palestinesi ancora non c’è. La stanno scrivendo, insieme, il premier Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e quello della Difesa Ehud Barak. Il governo ha spiegato che verrà pubblicata al più presto, e che sarà una lista di articoli «non permessi» – il che è già un notevole passo avanti rispetto al passato, quando esisteva la lista dei prodotti «concessi», circa 114 –, «limitata ad armi e materiale di guerra, inclusi i problematici articoli
dual-use», materiali, cioè, che potrebbero essere utilizzati per scopi civili ma anche bellici.In teoria, a Gaza dovrebbe poter entrare di tutto: cibo, medicinali, abiti, giocattoli. Tutto tranne i materiali da costruzione, che, ha spiegato Israele, potranno comunque essere consegnati nell’enclave sotto la supervisione di organismi internazionali come l’Onu. Tasto delicato, visto che tra i prodotti più urgenti c’è proprio il cemento, necessario a ricostruire case, scuole, ospedali e strade distrutti dopo l’operazione Piombo fuso. Israele ha anche promesso il potenziamento dei transiti ai valichi. Addirittura, potrebbero esserne aperti di nuovi. Ieri sono stati 200 i camion carichi di merci prima vietate che hanno attraversato i terminal di Kerem Shalom e Karni. Gli israeliani prevedono che se prima non entravano più di 80-100 mezzi al giorno, tra due settimane si potrebbe arrivare a una media di 400. I gazawi restano però piuttosto scettici. A raffreddare le aspettative, tra l’altro, anche una notizia pubblicata ieri da “Ynet” (il sito del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth) secondo il quale la
black list sarà «lunga» e vieterà l’ingresso a Gaza di «migliaia di prodotti», compresi vari metalli e fertilizzanti. Il presidente palestinese Abu Mazen ha già detto che le misure decise dal governo israeliano «sono insufficienti». E ha ribadito la necessità per una «completa rimozione dell’assedio» – resta infatti in vigore quello marittimo, per cui tutte le navi per Gaza verranno ispezionate al porto di Ashdod. Verranno inoltre mantenute le restrizioni alla circolazione delle persone, anche se il governo Netanyahu ha annunciato un ammorbidimento nella concessione di permessi di uscita ed entrata dall’enclave per ragioni umanitarie e mediche. Quanto ad Hamas, ha chiesto che vengano soddisfatte «tutte» le necessità della popolazione, a partire dai materiali per le costruzioni, il carburante e l’elettricità e che vengano cancellate le restrizioni finanziarie. «Tutte cose che non sono comprese nella decisione di Israele, il che significa che l’assedio è ancora in corso», ha detto un portavoce. Chi non perde tempo a capitalizzare l’iniziativa è invece il premier Netanyahu. Manca poco al suo incontro con il presidente Barack Obama, in agenda per il 6 luglio alla Casa Bianca, e il primo ministro vuole dimostrare buona volontà sul piano del processo di pace, cercando nel contempo di rimediare al danno di immagine subito da Israele con il sanguinoso attacco alla nave turca Mavi Marmara (9 attivisti uccisi il 31 maggio scorso). E per sedare i malumori interni degli alleati di governo di ultra-destra, ostili all’ammorbidimento dell’embargo, il premier ieri – dopo quattro anni di embargo – ha spiegato che la decisione «priverà la propaganda di Hamas dell’accusa principale», ossia la crisi umanitaria nell’enclave, «e permetterà a noi di concentrare gli sforzi ai veri problemi di sicurezza».