Nucleare sì o no? La parola alla politicaIl Giappone deve importare l’84 per cento per cento del suo fabbisogno energetico. Prima del 2011, il 30 per cento dell’energia consumata nel paese proveniva dal nucleare. Subito dopo l’incidente di Fukushima, questa percentuale è scesa al 10 per cento. Nel settembre 2012 il piano energetico giapponese prevedeva una progressiva riduzione del nucleare fino al 2040, quando l’ultima centrale sarebbe stata definitivamente chiusa, ma dopo la vittoria del Partito liberaldemocratico (Pld) nelle elezioni del luglio scorso, il piano è stato revisionato e sono state riprese le costruzioni di due nuove centrali, la Shimane 3 e la Ohma 1. Nella prefettura di Fukushima, così come in quelle dove esiste almeno una centrale atomica, il Pld ha conquistato più del doppio dei voti del Partito democratico. Il motivo di tale successo, più che un premio alla scelta nucleare, è dovuto al fatto che il sistema bicamerale giapponese, con una camera alta in mano ai democratici e una camera bassa a maggioranza liberaldemocratica, si ostacolava a vicenda dando al governo di Shinzo Abe la giustificazione di non poter agire con maggior vigore nella politica ambientale, energetica e di supporto alle vittime del 2011. Con la netta prevalenza della coalizione del Pld, ora il gabinetto non ha più scuse per rinviare decisioni.
Eolico, solare, geotermico: basterà per "sfamare" tokyo?Tetsunari Iida, dopo un passato di ingegnere nucleare, si è convertito allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile fondando l’Institute for Sustainable Energy Policy (Isep). Iida ha un obiettivo ambizioso: far sì che, entro il 2050, l’intero consumo energetico del Paese provenga da fonti rinnovabili: «Attualmente il Giappone produce solo l’8 per cento di energia verde» spiega, aggiungendo che, secondo i calcoli dell’Isep, le 54 centrali nucleari disseminate sul territorio producono, a pieno regime, 48,96 Gw, mentre la sola installazione di turbine eoliche potrebbe generare un’energia pari a 150 Gw. Ulteriori 69-100 Gw potrebbero essere prodotti dagli impianti solari e altri 14 Gw convogliando l’energia delle oltre 28mila sorgenti termali che bucherellano la superficie dell’arcipelago.Più scettico si mostra il Breakthrough Institute, un centro di ricerca energetica ambientalista di ispirazione liberale, secondo cui la trasformazione delle fonti energetiche tradizionali a quelle rinnovabili sarebbe troppo costosa. «Per costruire impianti solari che producano 203 Gw di energia servono mille miliardi di dollari, contro i 375 miliardi necessari per avere 152 Gw di energia eolica» asserisce Michael Shellenberger, direttore dell’istituto americano. L’idea che le fonti di energia rinnovabile siano ancora antieconomiche, trova sostegno anche tra il noto giornalista ecologista inglese George Monbiot: «La domanda energetica continuerà a essere sempre più elevata e dovremo contare su fonti sicure, economiche e a basso impatto ambientale. Le centrali energetiche rinnovabili sono sicuramente ideologicamente attraenti, ma ancora troppo costose, non sufficientemente efficienti e hanno un impatto sia ambientale che visivo troppo elevato».