Ucciso davanti alla sua chiesa in una remota area dell’isola di Mindanao. Padre Fausto Tentorio è l’ultimo a cadere fra gli esponenti di una Chiesa e di una missione che continua nell’impegno al fianco degli ultimi. Uomini drammaticamente testimoni e vittime di una situazione di violenza e insicurezza endemica che nelle Filippine sembra sfuggire a ogni regola.Due uomini in motocicletta con il casco, uno scende con in mano una pistola e spara in rapida successione alcuni colpi. Il bersaglio cade colpito al capo e alla schiena. Questa, secondo le prime testimonianze, la ricostruzione dell’omicidio. Uno dei tanti nelle Filippine senza pace e spesso senza legge, ma a cadere sotto i colpi dell’assassino questa volta non è un imprenditore durante un tentativo di sequestro, oppure un oppositore politico un attivista sociale o un giornalista. Questa volta è toccato a padre Fasto Tentorio, 59enne missionario del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (Pime), brianzolo di nascita ma da trent’anni nell’arcipelago asiatico.Ieri mattina, dopo la Messa nella sua parrocchia di Arakan, in un’area montana della provincia di North Cotabato, sull’isola di Mindanao, padre Tentorio stava per salire sulla sua auto per recarsi come ogni lunedì alla riunione del presbiterio di Kidapawan, quando è stato avvicinato dal killer che gli ha sparato con una pistola. I fedeli che si trovavano all’interno della struttura parrocchiale hanno sentito gli spari e sono usciti in tempo per vedere un uomo col casco scappare verso una moto che si è allontanata. Inutile la corsa di trenta chilometri di strada di montagna all’ospedale di Antipas dove il missionario è arrivato già cadavere.Contro il parere dello stesso vescovo di Kidapawan, la diocesi che include vaste aree di difficile accesso anche per gli operatori ecclesiali, tra cui Arakan, gli stessi parrocchiani di padre Tentorio ne hanno riportato indietro la salma per la veglia funebre. A sera pure i ribelli del Fronte islamico di liberazione del Moro hanno condannato l’agguato.Il missionario italiano era nelle Filippine dal 1978, dal 1985 nella «sua» missione dell’Arakan dove, ricorda il superiore del Pime nelle Filippine, padre Giulio Mariani, «da più di 30 anni faceva un lavoro magnifico, era amato da tutti». Non privo di rischi personali, però. Come specificato da padre Mariani, nel 2003 il missionario del Pime era sfuggito a un tentativo di sequestro: «Ha sempre lavorato nella zona abitata da emarginati, tribali filippini, musulmani. Era molto apprezzato. Forse ha pestato i piedi a qualcuno, ma non sappiamo ancora. La sua era una missione delicata perché quando hai a che fare con emarginazione e povertà sei destinato a dare fastidio».