sabato 8 novembre 2014
​Un anno dopo restano profonde le ferite lasciate dal passaggio di Haiyan. Solo il 30 ottobre è stato approvato il piano, da quasi 3 miliardi di euro, per gli interventi. Il dramma della tratta degli orfani: finora 1.600 persone strappate ai trafficanti.
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Un anno fa il super-tifone Haiyan investiva le isole centrali dell’arcipelago filippino di Visayas. Superando la costa a con una velocità di 320 chilometri orari, portò con sé onde di elevazione e forza imprevedibili. Il bilancio di quell’8 novembre fu pesantissimo: 6.268 morti, 28.626 feriti, un migliaio di dispersi. Ad essi vanno aggiunti a rendere più chiara e duratura la realtà della tragedia quattro milioni di senzatetto, risultato primo della distruzione di oltre un milione di case. Pesca, agricoltura, trasporti, industrie, turismo sono stati azzerati in molte aree. E a un anno di distanza nessuno si illude che la ricostruzione sarà facile, nonostante l’intensità del sostegno internazionale, secondo solo a quello della provincia indonesiana di Aceh devastata dallo tsunami quasi dieci anni fa.  Ma tra le emergenze nate dalla catastrofe provocata da Haiyan (conosciuto come Yolanda nelle Filippine) c’è anche quella, orribile, della tratta di esseri umani. Una problematica che – come altre dell’emergenza post-tifone – chiama in causa ugualmente autorità e organizzazioni locali e internazionali sia a livello di prevenzione, sia di individuazione delle vittime e dei colpevoli di un fenomeno facilitato da più fattori. Anzitutto dalla divisione delle famiglie private di abitazioni e mezzi di sussistenza che hanno dato luogo a un flusso di migranti verso la capitale Manila, ma anche verso altre aree, in altri casi per la morte di genitori o parenti stretti, oppure per scelte inizialmente volontarie di contribuire alle necessità familiari che sono poi diventate occasione di coercizione e abuso.  Per essi si è impegnata particolarmente l’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (Oim). Sono finora 1.600 le persone strappate ai trafficanti che hanno ricevuto sostegno psico-sociale e 60.000 quelle che hanno ricevuto aiuto legale o di altro genere attraverso l’organizzazione e i suoi partner, sia governativi, sia della società civile.  Questa e altre emergenze sono state anche accentuate dai ritmi lenti e faticosi della fase di individuazione di danni e vittime e ora della ricostruzione, sottolineati più volta anche dallo stesso presidente Benigno Aquino, che solo il 30 ottobre scorso è riuscito a approvare il piano per la ricostruzione del valore di 160 miliardi di peso, all’incirca 2,9 miliardi di euro. Un piano che comprende le prime tappe del ritorno, non alla normalità precedente ma a una nuova realtà che a benessere associ sicurezza. Le 200mila abitazioni previste in questa fase saranno costruite in aree al sicuro da eventi naturali di forte intensità, le attività economiche saranno integrate e razionalizzate, le comunicazioni le comunicazioni riviste a misura di una regione centrale in senso geografico e economico, non solo centro di latifondo, economia da sopravvivenza e intensa emigrazione. Il presidente vuole che la ricostruzione sia completata prima della fine del suo mandato nel giugno 2016.  Una valutazione forse ottimistica, come è ottimista il sindaco di Tacloban, capoluogo dell’isola di Leyte e città-simbolo della devastazione di Haiyan, che a dodici mesi dal suo dramma alterna distese di macerie a tracce della ricostruzione e a una certa ripresa delle attività produttive. Il suo aeroporto che va verso una sostanziale ridefinizione e rilancio, dovrebbe essere riaperto a dicembre nel terminal provvisorio, quello dove con ogni probabilità atterrerà a gennaio papa Francesco che ha promesso una visita che riaccenda speranza e fede nel deserto delle troppe necessità ancora aperte.
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