Suor Marivel, religiosa filippina della congregazione delle Domenicane della Beata Imelda, è appena rientrata nella sua sede di Calabanga sull’isola di Luzon, in un’area appena sfiorata dal tifone dopo alcuni giorni passati nella città-simbolo della devastazione di Haiyan. «È chiarissimo che la solidarietà tradizionale ha risposto ancora una volta alle necessità dei filippini. Appoggiando la volontà di ripresa che tutti sia aspettano sia accompagnata dal sostegno delle autorità locali e anche dall’aiuto internazionale».
Tacloban è una città distrutta, in buona parte ancora senza corrente elettrica. Nessun addobbo nelle poche case in piedi, nelle tende o nei rifugi di fortuna. Qualche simbolo natalizio solo nelle chiese, in buona parte diventate rifugio degli sfollati, come pure le scuole. Solidarietà e fede, binomio inscindibile che ha consentito ai filippini di rimettersi in piedi dopo ogni conflitto e ogni catastrofe. «Una fede commovente – continua la suora –. Alcuni si lamentano dei ritardi nei soccorsi, altri per le necessità più elementari. Hanno bisogno di parlarne, di raccontare... Molti pensano ci vorranno anni per recuperare la vita di prima, ma non c’è posto per la disperazione. Per molti, però, lo sappiamo, è anche incapacità di dimostrare un dolore troppo profondo».
A Tacloban, suor Marivel ha accompagnato psicologi specializzati nel sostegno a chi ha subito forti traumi, ma ha anche portato, a nome delle famiglie degli studenti della scuola gestita dalla sua congregazione e di benefattori, materiale per consentire a un migliaio di bambini di riprendere il percorso educativo. Il Natale post-tifone nelle Filippine resta però anche speranza e solidarietà. Ovunque le tradizionali occasioni augurali nelle aziende, nelle organizzazioni, nelle istituzioni pubbliche e private, fino a Parlamento e governo sono state ridotte o cancellate, con il corrispondente in denaro o beni donato alle vittime. Limitate le celebrazioni familiari e parrocchiali e invece moltiplicate le occasioni benefiche, la solidarietà ha superato la tradizione generosa di questa terra e ha coinvolto tutti senza distinzione di luogo, classe o censo. A gara con le previsioni sui costi dell’emergenza e della ricostruzione che superano ormai i 7 miliardi di euro.
Come ha ricordato la Conferenza episcopale filippina ai propri dipendenti, «non dobbiamo lasciare che la devastazione di Yolanda (il nome dato nell’arcipelago a Haiyan, ndr ) ci impedisca di ricordare la nascita di Gesù. In solidarietà con i nostri fratelli e sorelle che stanno soffrendo, evitiamo però ogni eccesso. Possiamo celebrare l’Eucaristia, ricordare nelle nostre preghiere le vittime di Yolanda, il nostro Paese e il nostro popolo. Concediamoci però semplici pasti, niente scambio di doni, lotterie o programmi di intrattenimento». Un Natale del cuore, in stile filippino che ha infiniti segni e risultati inattesi. Tra cui un’inedita tregua tra governo e ribelli maoisti del Nuovo esercito del popolo che ha roccaforti proprio nelle isole colpite da Haiyan. Una ventina di giorni di pace con il lasciapassare ai ribelli per visitare le proprie famiglie, le proprie comunità, segnala che Haiyan è forse uno spartiacque per il Paese: gli ha dato maggiore consapevolezza e unità e insieme coscienza che la formula «bahala na!» (sia come Dio vuole), non basta più davanti all’assedio delle forze della natura e davanti alle tante possibilità e promesse disattese.
Non sono soltanto impegno e buona volontà a segnare il Natale post-Haiyan. L’emergenza e ancor più la dispersione di tante famiglie ha creato possibilità per i criminali. «Già si vedono manifesti che mostrano le foto di bambini fra 3 e 15 anni scomparsi, probabilmente rapiti e venduti. Cinque sono stati salvati dagli assistenti sociali: erano già stati adescati da trafficanti, probabilmente a scopo di sfruttamento sessuale», segnala padre Shay Cullen, missionario irlandese di San Colombano pioniere dell’impegno a fianco delle giovani vittime di “mercanti di esseri umani” e del loro sempre precario recupero. Ricordando anche che la devastazione di Leyte e Samar apre oggi a un mondo altrimenti distratto lo scenario di «oltre un milione di bambini nelle Filippine vittime di prostituzione, pedofilia e sfruttamento che passeranno un Natale senza gioia».