martedì 4 novembre 2014
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«Non ho ancora capito perché si sta in vita, ma ci sto». Così Anna Marchesini, a "Che tempo che fa" in dialogo con Fabio Fazio, domenica scorsa. C’è poco da fare, per quanto si tenti di eluderla e archiviarla, la grande domanda sul senso della vita persiste e ci accomuna tutti. In genere gli anni della giovinezza, del benessere fisico e psicologico ci vedono distratti e indaffarati. Poi arriva la vecchiaia: stagione a volte invisa e bistrattata, ma che porta in sé un patrimonio di inestimabile valore . È il tempo in cui le cose, le persone, gli affetti acquistano contorni più nitidi e precisi. C’è poi da fare i conti con la malattia. Quando il corpo se ne va per conto proprio e sembra non appartenerti più. Quando ti accorgi che da solo non riesci nemmeno a emettere un respiro. E tu ti chiedi chi sei. Che ci fai in questo mondo. Brittany Maynard, la giovane americana colpita da un cancro al cervello, pochi giorni fa aveva rivelato al mondo di voler mettere fine alla sua vita. Ieri si è uccisa. Non ce l’ha fatta a guardare negli occhi la malattia e la morte. Anna, invece, non ha esitato a parlare della sua ricerca di senso e a mostrare al pubblico la malattia che lentamente la deforma.  Non si giudica il dolore altrui, ma riflettere si può e si deve. Brittany ha detto di voler « morire con dignità», come se la sofferenza le rubasse dignità. Ma non è vero: dirlo è una trappola. Anche se una risposta al senso del dolore nessuno la possiede, occorre prepararsi per misurarsi con esso quando arriva. Nemmeno Gesù Cristo ha voluto gettare un po’ di luce su questo mistero che ci coinvolge e ci sconvolge. Sappiamo solo che Lui stesso ha assunto il peso del dolore (e io credo che occorra indagare di più e meglio sul Cristo  "cireneo" delle sofferenze altrui). La vita è preziosa in ogni sua stagione. Troppo bella per essere sciupata o vissuta solo quando il cielo è terso. È un dono che occorre respirare a bocca spalancata. Anche quando arranca, quando si fa severa e dura. «Alla sera della vita ciò che conta è avere amato», scrive san Giovanni della Croce. Nell’amore, dunque, si nasconde il segreto del vivere e del morire. Amare è l’ unica occupazione che ci fa veramente uomini. Amare vuol dire uscire dal guscio per andare incontro all’altro. Guardarlo con simpatia e accorgersi se ha bisogno di qualcosa. C’è più gioia nel dare che nel ricevere. Non sono pochi gli esempi di persone inchiodate in un letto di dolore che hanno saputo farsi dono per gli altri. Credo che tanti amici e parenti di Brittany avrebbero voluto godere ancora della sua presenza. Avrebbero desiderato esserle accanto anche nei momenti del dolore. C’è nel soffrire qualcosa che nessuno saprà mai spiegare, ma che nessuno può affermare essere inutile o dannoso. Sono tanti i modi di amare. Strappare una risata a chi procede a fatica è un’ arte che non tutti possono vantare. Viva i comici, perciò. Viva chi riesce a ridere e a far ridere. Ma viene sempre il giorno, però, in cui ridere non basta. Noi vogliamo bene ad Anna, a Brittany e ai tanti fratelli ammalati e infermi non per quello che fanno ma per quello che sono.  Qualcuno ha detto che "se divino è il dare, divino è anche ricevere". A volte costa mortificazione, ma ci rende umani. La domanda da porre a noi stessi e agli altri è: siamo i padroni o gli amministratori della nostra vita? Attenzione a dare risposte improvvisate. Ci sono milioni di persone - e io tra queste - che hanno incontrato Gesù vivo e vero. Non saprei spiegare come, ma è successo e ogni giorno succede ancora. Questa esperienza li ha sconvolti. Ha trasformato la loro vita. Hanno intravisto una luce davanti alla quale il sole impallidisce. Diciamola tutta: se ne sono perdutamente innamorati. L’ amore a Cristo nulla ha tolto alla loro persona-lità, alla loro libertà. Al contrario, ne ha rafforzato la volontà e la capacità di servire, amare e perdonare. Sanno di essere in cammino da quando, invisibile puntino nel grembo della mamma, hanno iniziato la stupenda e misteriosa avventura della vita. Guardano alla morte come a una seconda nascita. Nascere, dunque, non morire. Siamo stati chiamati. Nessuno si chiama da solo. Vivere è la risposta a una chiamata. Una vocazione, dunque. E se c’è qualcuno che chiama, sa il perché. Sempre, anche quando noi, creature piccole, fragili eppure immense non riusciamo a capire.
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