L'ultimatum è scaduto, i profughi eritrei prigionieri nel Sinai sono malconci, ma ancora tutti vivi. La conferma arriva da don Mosè Zerai, unico contatto telefonico dall’Italia con gli ostaggi, che ieri è riuscito a sentirli nel corso del Tg2 delle 20,30 Intanto la diplomazia italiana si è mossa per chiedere l’intervento del governo egiziano, anche se per ora non giungono riscontri dal Cairo. Lo conferma il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi: «La nostra ambasciata al Cairo ha trasmesso la preoccupazione del governo per la situazione che ci è stata segnalata da don Zerai e che sta allarmando l’opinione pubblica italiana. Abbiamo chiesto al governo egiziano di verificare i fatti. Dopodiché chiederemo che intervenga, ma al momento non possiamo fare di più». La palla, insomma, è passata nel campo egiziano dal quale per ora non sono giunte risposte. L’ultimatum di giovedì sera dava tre ore di tempo ai familiari per pagare via money transfer a un emissario del racket nella capitale egiziana il riscatto di 8mila dollari per ciascun ostaggio, circa 250 profughi africani, tra cui 74 eritrei. Altrimenti sarebbero stati tutti uccisi. Scaduto il termine i trafficanti hanno picchiato gli ostaggi, segregati da oltre un mese nella penisola del Sinai in una località a circa 50 chilometri dal confine con Israele. L’agenzia del Gruppo di EveryOne ha annunciato di aver localizzato esattamente il luogo, non solo la cittadina ma anche l’edificio trasformato in prigione, le cui coordinate sono state già comunicate all’Alto commissario Onu per i rifugiati e alle autorità diplomatiche italiane. Ma adesso bisogna fare in fretta. Sei ostaggi, tutti uomini, sono già stati uccisi. I primi tre lunedì, a freddo con un colpo di pistola dopo esere stati torturati. come ammonimento per gli altri perché non avevano trovato i danari del riscatto. Altri tre martedì, a bastonate dopo un fallito tentativo di fuga. Nel gruppo di immigrati, riferisce il blog dell’agenzia Habeshia guidata da don Zerai vi sono anche alcune donne incinte. I profughi hanno raccontato a don Mosè la loro odissea, prima sono partiti da Tripoli, in Libia, dove molti erano stati respinti dall’Italia via mare, per andare in Israele, pagando i 2mila dollari inizialmente pattuiti. Ma nel deserto i trafficanti li hanno sequestrati esigendone 8mila. I pagamenti sono stati chiesti con il cellulare ai parenti che fanno parte della diaspora eritrea sparsa nel mondo, compreso il nostro Paese. Quasi nessuno, naturalmente, possiede la somma per il riscatto. «Alcuni hanno versato somme da 500-1000 dollari - spiega don Mosè - per calmare i banditi ed evitare ai parenti le botte quotidiane. Un gruppo di associazioni umanitarie, quali EveryOne, l’agenzia di cooperazione Habeshia di don Zerai, Christian Solidarity Worldwide e la Comunità di Sant’Egidio e la Papa Giovanni XXIII ha inviato ieri un nuovo appello all’Onu, alle istituzioni dell’Ue e alla comunità internazionale, e una lettera urgente agli ambasciatori d’Egitto in Italia e presso la Santa Sede. Contatti sono tenuti anche con l’Ufficio del Relatore speciale Onu sul traffico di esseri umani e con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per sollecitare un’azione internazionale. «Se verranno salvati - commenta don Mosè - chiedo che non siano, però, deportati dal governo egiziano, come è già accaduto, ma che siano presi in carico dall’Alto Commissariato e che vengano esaminate le loro posizioni».Non è il primo caso di rapimenti e omicidi di eritrei nel Sinai, divenuto centro di traffico di esseri umani. Oltre che dalla Libia, dal Paese c’è un flusso di fuggitivi crescente che scelgono Israele per entrare in Europa e chiedere asilo. Il rapporto 2009 di Reporter senza frontiere collocava lo stato del Corno Africa all’ultimo posto nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. La dittatura eritrea ha espulso da tempo giornalisti e ong occidentali diventando un paese impenetrabile. Dal quale i giovani tentano la fuga a ogni costo.