In tre mesi ha incontrato oltre 200 eritrei ed etiopi passati dall’inferno del Sinai. Racconti di torture orribili che confermano cosa sta accadendo nel deserto, anche se finora il governo del Cairo sostiene di non aver trovato conferme dei rapimenti. Azezet Kidane è una suora comboniana eritrea, vive nella missione di Betania e da giugno due volte alla settimana arriva in autobus a Tel Aviv, nel piccolo ambulatorio dei medici volontari dell’ong internazionale Phr ad ascoltare e assistere i rifugiati. Una testimonianza importante, quella di Suor Azezet. Conferma che negli ultimi tre mesi sono fortemente aumentati i casi di profughi provenienti dall’Eritrea e dall’Etiopia che si rivolgono alla struttura sanitaria con gravi traumi fisici e mentali causati dalle prigionie nel deserto durante le quali vengono sottoposti a torture fisiche e psicologiche durissime.«Ho incontrato 193 profughi da settembre ad oggi. Negli ultimi due mesi soprattutto persone provenienti dalla Libia. Aspettano troppo e i controlli di polizia sono troppo duri, così cercano altre possibilità. Molti raccontano di essere stati rapiti nel Sinai dai beduini e legati con i ferri insieme ad altre sei o sette persone e di essere stati picchiati quotidianamente. Alcuni sono stati messi a testa in giù e issati in alto oppure feriti agli arti e minacciati di amputazione. I trafficanti portano nelle prigioni del deserto persone vestite da medici, con il camice bianco. E dicono ai prigionieri terrorizzati che se non pagano toglieranno loro i reni. Sembra incredibile, ma sono le storie che sento ogni giorno, una peggio dell’altra».
E a chi non paga cosa succede?Molti testimoni mi hanno detto la stessa cosa: in ogni gruppo due o tre persone sono state picchiate a morte.
Lei ha incontrato anche donne?Sì, le racconto una storia emblematica. L’altro giorno è venuta in ospedale una giovane eritrea. Ha aspettato oltre un anno in Libia, poi, quando ha visto che non era più possibile arrivare via mare in Italia, ha chiesto a un trafficante di portarla in Israele. Ha pagato duemila dollari ma è stata rapita nel Sinai ed è stata tenuta prigioniera per 40 giorni dei beduini. I trafficanti l’hanno violentata più volte. Poi ha pagato il riscatto. È arrivata in Israele due settimane fa, era incinta. Nonostante tutti i nostri sforzi per convincerla a cambiare idea la settimana scorsa ha abortito nel campo profughi. Ora è distrutta dal rimorso e dalla vergogna, teme di aver contratto l’Aids. È terribile. Continuava a ripetermi che non sapeva chi era il padre e che non avrebbe potuto spiegare come stavano le cose al suo bambino.
Dalle testimonianze ha capito come è organizzato il traffico nel Sinai?I trafficanti si passano le persone da un paese all’altro, ma ciascuno si tiene i soldi per la propria tratta. Tu hai pattuito duemila dollari dalla Libia ad Israele, ma quando arrivi nel Sinai devi pagarne altri duemila al trafficante che ti prende in consegna. Chi non può pagare viene sequestrato e deve telefonare ai parenti per trovare i soldi. Le richieste sono aumentate negli ultimi tempi, adesso sono arrivati a chiedere ottomila dollari.
Ci sono diverse bande nel Sinai?Credo almeno una ventina. Nessuno mi ha detto il nome del trafficante, ma dalla descrizione del luogo di detenzione so già quali torture hanno subito. Se mi dicono che sono stati prigionieri in una casa di lamiera capisco che sono stati trattati peggio di tutti. I sequestratori sono razzisti. Ad esempio eritrei ed etiopi sono trattati peggio dei sudanesi.
Ha capito dove si trovano le prigioni?Sicuramente nel Sinai egiziano. Tutti confermano che i criminali quando li hanno liberati li hanno fatti camminare scalzi fino al confine, a volte sette ore oppure solo un’ora. Poi li fanno correre quando arrivano alla «no man’s land», la terra di nessuno.
E la polizia egiziana?Se li ferma per controlli intasca mance dai passatori. Il rischio è quando si varca il confine, è capitato che lì la polizia spari sui profughi per ucciderli.