giovedì 30 dicembre 2010
Le donne incinte e chi non può pagare potrebbero essere «rivenduti» ad altri trafficanti. La divisione in due gruppi potrebbe preludere a nuovi orrori. Nell’area operano almeno 20 bande di trafficanti di uomini, che hanno rapito negli ultimi tre mesi 300 eritrei, tutti diretti verso il confine israeliano sulla nuova rotta della penisola presidiata da sempre dai beduini Rashaida.
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Nei container sepolti sottoterra nel Sinai è iniziata la separazione tra chi è in grado di pagare il riscatto e chi non potrà farlo. Un preludio di nuovi orrori. Le ultime, drammatiche cronache dall’inferno del Sinai procurano angoscia. Le riferisce don Mosè Zerai, che dal 23 novembre scorso è in contatto telefonico con gli eritrei caduti nelle mani dei rapitori.«Ieri gli ostaggi – afferma il sacerdote eritreo, presidente dell’agenzia di cooperazione allo sviluppo Habeshia –  mi hanno riferito che per la prima volta sono stati separati, Il gruppo di donne, anche le tre in stato di gravidanza, che non possono pagare gli ottomila dollari richiesti dai banditi è stato spostato ieri mattina. Il loro timore è che ora vengano vendute ad un altro gruppo di trafficanti. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, che siano sottoposte all’espianto degli organi». Forse sono stati gli arresti della polizia egiziana compiuti ai danni degli ostaggi nei giorni scorsi a suggerire ai moderni mercanti di schiavi di accelerare i tempi. Nell’area operano almeno 20 gruppi di predoni collegati tra loro, che hanno rapito negli ultimi tre mesi 300 eritrei, tutti diretti verso il confine israeliano sulla nuova rotta del Sinai presidiata da sempre dai Rashaida, i beduini dell’Africa nordorientale. Almeno 80 eritrei sono fuggiti dalla Libia dopo aver tentato invano di raggiungere via mare le coste italiane, mentre il resto è in fuga dal Corno d’Africa. Stando alle testimonianze telefoniche dei detenuti, confermate dalla ong sanitaria americana Phr che ha documentato le torture subite dai superstiti giunti in Israele in questi mesi, agli eritrei è toccato il trattamento peggiore per rappresaglia. Un gruppo di fuggiaschi tigrini, poi catturato, avrebbe infatti ucciso un carceriere. Le donne sono state ripetutamente abusate, tutti sono stati incatenati, picchiati e sottoposti a torture e violenze disumane, compresa la marchiatura a fuoco. Otto prigionieri sono stati uccisi e ad almeno quattro sembra sia stato prelevato un rene come pagamento del riscatto. Il cibo è scarso, una pagnotta ogni tre giorni e acqua salata. Solo chi ha già pagato rate della somma richiesta, con modalità ormai codificate – via Western union a emissari segnalati dalle bande – è trattato meglio. Stando alle dichiarazioni delle forze di sicurezza egiziane, che l’altro ieri hanno per la prima volta ammesso la presenza degli ostaggi, sarebbero detenuti nel deserto anche altri 900 africani – etiopi, somali e sudanesi – che avrebbero pagato la somma richiesta per la liberazione e starebbero per varcare il confine con Israele. La telefonata effettuata ieri dal prete ha aggiunto un tassello alle notizie sugli arresti della polizia egiziana di 27 ostaggi liberati. Tra questi non vi sarebbero i 20 eritrei provenienti dalla Libia rilasciati prima di Natale. Ieri alcuni hanno infatti telefonato agli ormai ex compagni di sventura confermando l’arrivo sul suolo ebraico. Hanno detto di aver fornito le proprie generalità alle autorità israeliane e di trovarsi in un centro di detenzione. Si attendono riscontri.Don Zerai intanto è tornato chiedere l’intervento dei governi della regione, «ormai terra di nessuno dove regna l’anarchia dei trafficanti di esseri umani. Non si comprende il silenzio delle autorità egiziane, israeliane e palestinesi. Si sta consumando un dramma alle porte delle loro nazioni e nessuno di loro prende a cuore questa emergenza umanitaria». Il prete si domanda amaro che fine hanno fatto gli accordi internazionali per la lotta contro la tratta di esseri umani e il traffico d’organi.«Perché si sta perdendo del tempo? Spero che non sia una scelta politica di questi paesi che usano questa situazione drammatica come deterrente contro l’immigrazione. Molti di questi migranti sono profughi di guerra, perseguitati, gente che fugge dalla morte lenta causata da calamita naturali. Le persone disperate tentano il tutto per tutto, anche affrontando la morte, ma i paesi ricchi e "civili" non possono preoccuparsi solo di sigillare i propri confini».
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