I manifesti, ormai scoloriti, che hanno segnato la breve campagna elettorale per le presidenziali francesi - Reuters
Chiamati in giornata a scegliere al ballottaggio fra gli stessi finalisti del 2017, i francesi conosceranno questa sera chi occuperà l’Eliseo nei prossimi 5 anni. Ma fra le pieghe del Paese profondo, ci sono comuni i cui abitanti guarderanno lo scrutinio solo di traverso.
Prendiamo Vachères en Quint, un villaggio meridionale nella valle del Rodano, dove il 10 aprile, al primo turno, si erano recati alle urne, anzi all’urna, la bellezza di 25 elettori. Ebbene, nessuno di loro aveva dato un’oncia di fiducia né al presidente in carica in cerca del bis, Emmanuel Macron, né alla sfidante ultranazionalista Marine Le Pen: un surreale 0 a 0 elettorale che ha lasciato basiti tanti esperti di politica, assiepati nella capitale spesso ancora così culturalmente distante dalle contrade rurali. Ma allora, questa sera, a Vachères en Quint, dove confluirà la valanga di voti, per così dire, raccolta al primo turno dal “tribuno rosso” anticapitalista Jean-Luc Mélenchon, issatosi addirittura a quota 22 suffragi (su 25)?
E su scala nazionale, in questo strano e tragico 2022, come si trasformerà il 22% andato proprio al leader 70enne della sinistra radicale, che aveva raccolto in tutto, due settimane fa, 7,7 milioni di voti?
Gli esperti ripetono che 4 elettori “insubordinati” mélenchonisti su 10 finiranno per votare controvoglia Macron per «sbarrare la strada all’estrema destra» e che altrettanti non sceglieranno nessun finalista. Così, secondo le ultime proiezioni pubblicate venerdì, prima della tregua elettorale di ieri, Macron vincerà di almeno 10 punti, sullo sfondo di un alto astensionismo. La forbice sembra persino essersi allargata dopo il duello tv di mercoledì sera, che aveva offerto agli oltre 15 milioni di spettatori un Macron costantemente all’attacco.
Nell’Oltremare, si è già cominciato a votare ieri, con seggi aperti pure per i positivi al Covid e per i non vaccinati, che non subiranno controlli.
Il caso di Vachères en Quint potrebbe sembrare un puro piccolo aneddoto. Ma in realtà, nelle ultime ore, sono rimaste sospese proprio sul sempiterno fossato fra Francia urbana e campagne le residue speranze nutrite dai sostenitori dell’ultranazionalista 53enne che promette non a caso un inedito Ministero della Ruralità. Anche se al contempo, il più influente sindacato agricolo ha chiesto implicitamente in extremis di non votarla.
Fino all’ultimo, il cosiddetto “fronte anti-Macron” non sventolerà bandiera bianca, aggrappandosi al precedente dell’elezione di Donald Trump, molto citata, per opposte ragioni, pure da Macron. «Nulla è deciso», ha martellato il presidente nell’espressioni di un malcelato “rito apotropaico” anche in chiusura di campagna, ricordando pure il caso Brexit e il flop dei sondaggisti che davano il «non» vincente a Londra.
Ma anche se nulla d’imprevisto e sconvolgente uscisse dalla Francia profonda, con la conferma di un secondo mandato Macron, non è difficile pronosticare per questa sera toni meno trionfalistici rispetto al 2017.
All’epoca, neppure quarantenne, il neopresidente aveva parlato davanti alla Piramide di vetro del Louvre, sul sottofondo dell’Inno alla Gioia, in omaggio a quell’Europa che ha continuato a difendere pure nelle scorse settimane.
Ma 5 anni dopo, lo stesso continente ha visto finire in frantumi tante speranze di concordia, assistendo all’orrore di ritorno delle «terre di sangue». L’europeista Macron, pur avendo elettoralmente beneficiato di questo contesto terrificante, dovrà «inventarsi» qualcosa di nuovo, come ha promesso, evocando la «responsabilità di allargare e riunire».
Reduce dalla crisi interna dei gilet gialli, mai del tutto spenta, amareggiata anche da quella sanitaria e adesso scombussolata dalle conseguenze della guerra pure sul carovita, la Francia resta profondamente inquieta, dopo aver già polverizzato al primo turno i due tradizionali partiti dominanti, socialista e gollista. Da settimane, liceali e studenti universitari inscenano proteste e occupazioni a singhiozzo, fra slogan anti-Le Pen, ma talora anche anti-Macron. In ogni caso, dunque, pure il tanto pronosticato “Macron 2” dovrà farsi colla d’un Paese pieno di crepe.