Cantano, danzano, si abbracciano in un clima di festa sulla grande piazza della Liberazione, tornata a riempirsi di una folla oceanica convocata per «il giorno della partenza» di Mubarak. Il giubilo è alle stelle quando si diffonde la notizia (falsa) delle dimissioni del rais. Ma è vero che il suo potere è ormai un vuoto simulacro, e a voler imbalsamare il presidente-Faraone sono proprio i suoi più stretti collaboratori. Dopo l’ultimatum della piazza ieri sera è giunto un suggerimento più che autorevole da parte del «Comitato dei saggi» (composto da un folto gruppo di personalità del mondo politico economico e culturale egiziano) per una passaggio morbido delle prerogative presidenziali nelle mani del vice, Omar Suleiman, lasciando all’82nne leader un potere formale. Lui per il momento resta.Ma anche il movimento di protesta che ha preso il via il 25 gennaio non dà segni di cedimento. Sembra un flash-back di martedì scorso, stessa gente e stessa richiesta. Come se qualcuno avesse girato l’interruttore cancellando in un colpo solo le terribili immagini di violenze e di scontri che fino all’altra sera erano sotto i nostri occhi. Già, che fine hanno fatto le squadracce di energumeni e di miliziani in borghese che per 48 ore avevano seminato il terrore? Di loro non c’è più traccia, almeno nel centro della capitale. L’esercito, sia pur tardivamente, ha preso in mano la situazione. Militari in tenuta antisommossa si schierano attorno alla piazza dove, in prima mattinata, era venuto a controllare le misure di sicurezza il ministro della Difesa Hussein Tantawi. Cavalli di frisia, filo spinato e nuovi check-point sono stati predisposti attorno agli alberghi ed ai luoghi sensibili. «Siamo qui per proteggervi, i sostenitori del governo non entreranno», è il messaggio che i soldati scandiscono con gli altoparlanti, mentre all’esterno gruppi di sostenitori di Mubarak iniziano a radunarsi per celebrare «il giorno della fedeltà» al vecchio rais.In serata i due schieramenti si sfiorano, l’esercito spara in aria per dissuadere i più facinorosi. E, incredibilmente, procede ad alcuni arresti tra i miliziani filo-regime. Sono poche migliaia i fans di Mubarak che si ritrovano in piazza Talaat Harb, non lontano dal luogo simbolo della rivolta, piazza Tahrir. Qui sono centinaia di migliaia, qualcuno dice addirittura due milioni, mentre ad Alesssandria sarebbero un milione.È la «Rivoluzione del loto» che fa seguito alla «Rivoluzione dei gelsomini» scoppiata in Tunisia, scrive il più importante quotidiano egiziano
al-Ahram». La gente si mette pazientemente in fila nei pochi punti d’accesso alla piazza dove il servizio d’ordine è garantito dai Fratelli musulmani», la forza d’opposizione radicale, quella che ha presidiato la roccaforte della protesta resistendo all’assalto delle squadre pro-Mubarak. Ma oggi nessuno fa caso ai mucchi di pietre divelte dal selciato che possono sempre servire come armi di difesa. «Noi non ce ne andiamo, sei tu che te ne devi andare!» è lo slogan più ripetuto all’indirizzo di Mubarak, sullo sfondo di un gigantesco cartellone con la scritta «Game over». Un membro del clero islamico tiene il sermone dopo la preghiera di mezzogiorno, ricordando che «questa è una manifestazione nazionale dove si ritrovano uniti musulmani e cristiani». Ad Alessandria, la città segnata dalle violenze contro la Chiesa copta, un lungo corteo si snoda fino alla moschea di Al Kaed Ibrahim. E mentre i musulmani sono raccolti in preghiera, molti cristiani, presenti alla manifestazione anti-Mubarak, formano una catena umana a loro difesa. Al Cairo prende la parola Mohammed el-Tahtawy, portavoce dell’università al-Zahar, faro culturale dell’islam sunnita, annunciando le sue dimissioni e il suo sostegno alla rivoluzione.La presenza più significativa è quella di Amr Moussa, il segretario generale della Lega Araba venuto qui ad incontrare i leader della protesta. Moussa sta cercando di mediare tra dimostranti e governo e non nasconde di aspirare a un ruolo di prestigio in un futuro governo di transizione. A una domanda circa una sua possibile candidatura alla prossime elezioni presidenziali il politico egiziano risponde: «Perché no?», aggiungendo che un esecutivo di salvezza nazionale non potrà lasciar fuori i rappresentanti dei «Fratelli musulmani». No è l’unica “candidatura” della giornata, la sua. Perché in serata, dopo ripetute smentite, anche Mohammed el-Baradei, premio Nobel per la pace ed ex direttore generale dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea), si dice pronto a diventare presidente «se il popolo lo chiederà».Intanto, secondo la tv
al-Arabiya il vice-presidente Omar Suleiman avrebbe accolto l’idea avanzata dal «Comitato dei saggi» e sarebbe pronto ad assumere le prerogative del capo dello Stato in base all’art. 139 della Costituzione egiziana. L’ex capo dei servizi segreti, nominato recentemente vice di Mubarak, si sta dando molto da fare. In un’intervista alla tv americana
Abc ha lasciato intendere che occorre trovare una via d’uscita dignitosa al vecchio rais, venendo incontro al suo desiderio espresso l’altra sera. «Sono stanco ma non posso lasciare il mio posto con questo caos», aveva dichiarato. Ma «è improbabile che il presidente rimanga solo con un ruolo formale», commenta il premier Shafiq. Preme la piazza, premono gli Stati Uniti, si alambiccano i consiglieri del sovrano. Tutti danno per scontata la fine imminente dell’era Mubarak.