È almeno 13 morti e 140 feriti, secondo quanto reso noto dal ministero della Sanità egiziano e dalle Forze armate, il bilancio degli scontri a sfondo religioso avvenuti nei giorni scorsi fra cristiani e musulmani al Cairo. Fra le vittime delle violenze di martedì sera, 6 erano cristiane e 5 musulmane e altri due ancora da identificare. Mentre 25 persone sono state arrestate dalle forze dell’ordine perché coinvolte nei disordini. I feriti, copti e musulmani, sono ricoverati in almeno 3 ospedali cairoti. Teatro della guerriglia durata tutta la notte fra esponenti delle due comunità è stato il quartiere di Moqattam, ai piedi dell’omonima collina di calcare, dove un migliaio di copti si è riunito per protestare contro il rogo di una chiesa avvenuto sabato scorso a Sol, villaggio del governatorato di Helwan, a Sud del Cairo. Dalle dimissioni dell’ex presidente Hosni Mubarak, avvenute l’11 febbraio scorso dopo 18 giorni di manifestazioni popolari che hanno condotto in piazza milioni di egiziani indipendentemente dal loro credo, si tratta delle violenze interconfessionali più accese, difficili da contenere per il governo di transizione e il Consiglio supremo delle Forze armate, intenzionati a garantire la sicurezza e l’unità nazionale. La ricostruzione dei fatti è confusa: in principio, i manifestanti cristiani devono aver bloccato due tratti di tangenziale a Sud del Cairo, a ridosso del quartiere, povero e a maggioranza cristiana, paralizzando il traffico della megalopoli in direzione del centro. Un gesto a cui alcuni concittadini musulmani hanno risposto con violenza inattesa. Secondo alcuni, i militari sarebbero intervenuti avrebbero sparato in aria per disperdere la folla, mentre giovani musulmani e cristiani si affrontavano. Secondo padre Yohanna, della chiesa della Santa Vergine di Moqattam, in realtà sarebbero i militari gli unici responsabili delle morti: «L’esercito ha sparato sui copti e noi abbiamo i proiettili a dimostrarlo», ha spiegato ai media aggiungendo che i giovani musulmani hanno dato fuoco a tre abitazioni, tre depositi di plastica e altrettanti di cartone. «La situazione è grave e l’esercito si trova solo a uno dei sei accessi al quartiere degli zabbalin», comunità cristiana che si occupa da sempre della raccolta dei rifiuti. «Siamo anche preoccupati per quello che può succedere durante i funerali», ha sottolineato il religioso. Il riaccendersi delle divisioni religiose è stato commentato con durezza dalla guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohamed Badie, che ha invitato il popolo egiziano a «raccogliersi dietro le forze armate». Badie ha affermato che «i tentativi dei residui del vecchio regime, il Partito nazionale democratico (Pnd) e la Sicurezza di Stato, di riaccendere le discordie in questo delicato momento sollecitano tutti a proteggere lo Stato e le sue istituzioni, a rispettare la legge e a esporre pacificamente le proprie legittime rivendicazioni». Per questo i Fratelli Musulmani hanno esortato a «dare sostegno alle nostre Forze armate e al Consiglio dei ministri perché possano soddisfare le richieste della rivoluzione».Intanto, il premier Sharaf, sospendendo il suo primo Consiglio dei ministri per partecipare a un incontro d’urgenza col Consiglio supremo delle Forze armate, ha chiesto un inasprimento delle pene per gli atti di intimidazione, gli attentati alla sicurezza di tutti i cittadini, non solo la minoranza copta. Da giorni bande armate attaccano manifestanti per strada. L’ultimo episodio è avvenuto in piazza Tahrir ieri pomeriggio. Sarebbe anche stato anticipato alle 21 (e non alle 24), il coprifuoco, ma la tv ha smentito. Infine, in serata, l’ambasciatore italiano al Cairo, Claudio Pacifico, ha chiesto ufficialmente al governo di «assicurare la sicurezza» della minoranza copta.