lunedì 2 marzo 2015
​Stroncato dal virus mentre assisteva i bambini rimasti soli per le strade di Freetown. Conosceva bene i rischi a cui andava incontro ma non si è tirato indietro.
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Lomé - «Non diceva mai di no. Con il suo zaino in spalla, un’agenda e la penna, andava in giro per la città a cercare i bambini rimasti orfani a causa di ebola. È stato un collega davvero devoto». È così che Jestina Conteh, mentre cerca di trattenere le lacrime, ha descritto il sierraleonese Augustine Baker, volontario dell’orfanotrofio St. George Foundation, morto due giorni fa dopo aver contratto il virus. Ricoverato per meno di una settimana in un centro di trattamento della febbre emorragica nella capitale Freetown, il giovane ha dato la vita per salvarla a decine di orfani. «Sapeva che aiutare questi bambini era un lavoro altamente rischioso – ha raccontato invece Philip Dean, cofondatore dell’orfanotrofio nato nel 2004 –, ma lavorava perché sentiva che era necessario farlo». Augustine Baker era noto per andare nelle comunità più a rischio di contagio e dove decine di famiglie erano ormai decimate da ebola. Da quando l’epidemia è iniziata in Sierra Leone, nel maggio del 2014, l’orfanotrofio ha aiutato quasi duecento minori abbandonati a loro stessi. «Molti di essi hanno perso entrambi i genitori, fratelli, sorelle e vari parenti – spiegava Augustine davanti alla telecamera dell’emittente britannica <+CORSIVOA>Bbc<+TONDOA> un mese prima di morire –. Questi bambini hanno sofferto moltissimo e spesso sono stati persino costretti a prendersi cura dei cadaveri dei loro familiari». Secondo le ultime statistiche dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), «sono oltre 3.500 i decessi in Sierra Leone a causa del virus e più di 11mila i casi di contagio». Molti orfani del St. George Foundation sono stati trovati per strada e senza la possibilità di mangiare perché nessuno osava aiutarli. Venivano infatti allontanati dalle loro comunità, le quali temevano di rimanere contagiate. Per questo il lavoro di Augustine, come quello di molti altri operatori umanitari nel Paese, è fondamentale. Ma un pomeriggio, durante una riunione all’orfanotrofio, il giovane è improvvisamente crollato a terra. «I quattro volontari che lo hanno soccorso fino in ospedale sono stati subito isolati», aveva confermato la stampa locale. Non è bastato. Sia i 10 volontari che i 33 minori attualmente ospitati hanno deciso di mettersi in quarantena: 21 giorni, il tempo di incubazione del virus. Augustine era stato ricoverato al centro di trattamento di Kerry Town, nella provincia della capitale sierraleonese. Ma nonostante le cure, uno degli eroi di questa crisi è morto poco dopo. La notizia ha ovviamente colpito diversi volontari che quotidianamente rischiano la propria vita per aiutare soprattutto le vittime più giovani. «È vero che in generale i casi di contagio stanno diminuendo rispetto a due mesi fa – spiega ad Avvenire Paulyanna Kanu, volontaria nel dipartimento dei minori dell’organizzazione Family homes movement –, ma per noi che lavoriamo per la protezione del bambino i casi invece aumentano insieme ai rischi». L’epidemia nel Paese aveva raggiunto l’apice a novembre dell’anno scorso, quando si contavano centinaia di contagi ogni settimana. Dopo un breve periodo in cui la crisi sembrava ridursi, a fine gennaio c’è stato il primo aumento. «Sono stati 99 i nuovi casi di ebola registrati nell’ultima settimana in Sierra Leone (63 casi, ndr), Guinea Conakry, e Liberia – ha affermava due giorni fa l’Organizzazione della sanità –, un numero più basso dei picchi dell’anno prima, ma ancora troppo alto per abbassare la guardia».
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