sabato 14 settembre 2024
La giovane era stata picchiata perché non indossava il velo: spirò il 16 settembre 2022. Il padre chiede di poterla commemorare nel cimitero in cui è sepolta
Masha Amini su un cartello durante alcune proteste in Iran

Masha Amini su un cartello durante alcune proteste in Iran - .

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Mentre prosegue la corsa allo spazio, lanciando in orbita il suo secondo satellite di ricerca, domani l’Iran si prepara a vivere una giornata che al contrario dei successi del Chamran-1, preferirebbe passasse sotto silenzio: il secondo anniversario della morte di Mahsa Amini, la giovane curdo-iraniana pestata a morte dopo l’arresto a Teheran perché non indossava in maniera appropriata il velo. Mahsa morì il 16 settembre, dopo tre giorni di agonia e da questo omicidio di Stato nacque il movimento “Donna Vita Libertà”, che portò nelle piazze centinaia di migliaia di persone per sfidare decenni di oppressione e discriminazioni di genere. Ciò che accadrà domani nelle città iraniane sarà un banco di prova per il nuovo presidente “moderato” Masoud Pezeshkian, impegnato in una campagna di ripulitura di immagine di cui ieri si è vista una dimostrazione con l’annuncio della trasformazione del famigerato carcere per detenuti politici di Evin, a Teheran, in un polo universitario «per trasmettere un messaggio positivo e di conciliazione alla comunità internazionale», secondo le parole del vicepresidente Mohammed-Reza Aref, citato dall’agenzia Isna. A Evin è detenuta anche il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi.

Da una parte le parole, dall’altra i fatti: la famiglia di Mahsa Amini in un messaggio inviato a Radio Farda hanno espresso l’intenzione di commemorare la figlia con una cerimonia «tradizionale e religiosa» nel cimitero in cui è sepolta, a Saqqez, nella provincia del Kurdistan, che per motivi di calendario si svolgerà oggi, «se non verranno imposte restrizioni». L’anno scorso alla famiglia fu impedito di muoversi da casa, e il padre Amjad Amini era stato trattenuto dalle forze dell’ordine. La protesta contro la violazione dei diritti dei cittadini e in particolare delle donne non si è mai fermata. E nemmeno la repressione: Iran Human Right, Ong con sede in Norvegia, stima che oltre 500 dimostranti sono stati uccisi dalle forze dell’ordine dal settembre 2022, mentre gli arresti hanno superato i 19mila e almeno 10 persone sono state condannate a morte in relazione alle manifestazioni. Senza che fossero loro concessi processi giusti e una difesa adeguata. Secondo un report diffuso in questi giorni dalla Missione internazionale d’inchiesta delle Nazioni Unite, composta da esperti indipendenti, le donne vivono ancora da cittadine di “seconda classe” e le forze dell’ordine hanno aumentato le azioni repressive nei confronti di chi viola le prescrizioni relative all’hijab obbligatorio. Il Piano Noor (luce in iraniano), approvato lo scorso aprile, dà il via libera a controlli capillari delle pattuglie della polizia morale nei luoghi pubblici e perfino in ambienti privati come l’automobile, e non sanziona comportamenti violenti come schiaffi, percosse, calci. Il 22 luglio scorso agenti di polizia hanno sparato contro l’auto su cui viaggiava la 32enne Arezou Badri, che non indossava il velo. La giovane madre da allora è in coma. In agosto sui social media è circolato un video che mostrava diversi agenti che attaccavano violentemente due ragazze di 14 anni che si erano tolte il velo.

Accade sempre più spesso: se le manifestazioni di piazza si sono attenuate, si moltiplicano gli episodi di disobbedienza civile a viso aperto: dottoresse che rifiutano di entrare in ospedale senza velo, artisti e scrittori che esprimono il dissenso con il proprio lavoro. Anche in Italia si preparano diverse manifestazioni per appoggiare la lotta degli iraniani e delle iraniane. Domani a Roma Amnesty International organizza una serie di incontri e manifestazioni con attivisti in esilio.

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