LA VICENDAIn carcere di isolamento. Poi la mobilitazione popolareL’odissea giudiziaria di don De Pretis comincia nell’ottobre 2007 quando a Gibuti si scatena una campagna di stampa antifrancese che colpisce anche la Chiesa, accusata di creare «una rete per la pedofilia»: don Sandro è rinchiuso nel carcere di Gadobe, con accuse molto generiche. «Non dimenticate che io sono in prigione» scrive il 13 dicembre al settimanale “Vita Trentina” e si desta l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale: il «caso» va collocato nel conflitto fra Gibuti e governo francese. Spuntano allora presunti testimoni che portano a modificare l’accusa in «incitamento alla depravazione e alla corruzione di minori». Isolato dagli altri detenuti, il prete trentino si affida al suo vescovo, monsignor Giorgio Bertin, per il quale «sono accuse palesemente infondate», e al lavorio della diplomazia vaticana e italiana. Il 7 gennaio 2008, dopo la visita in carcere del suo delegato don Ivan Maffeis, l’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan, chiede l’intervento dell’allora premier Romano Prodi e del presidente francese Sarkozy. Una settimana dopo il vescovo di Gibuti parla della sofferenza di don Sandro al Papa, nella visita ad limina. Dopo la mobilitazione della stampa cattolica in Italia (oltre 5mila firme vengono raccolte on line) e la richiesta dei suoi familiari al giudice gibutino, don Sandro ottiene di uscire dal carcere «per motivi di salute» il 21 febbraio 2008: deve però rimanere in libertà vigilata in una casa di religiose, senza «incontrare giovani e possibili testimoni». Del caso si parla anche in agosto al vertice Fao, ma l’attesa snervante si protrae per questi 13 mesi, fino all’udienza di giovedì scorso.
De Pretis torna in libertà dopo 18 mesi di incubo giudiziario. Era detenuto con l’accusa pretestuosa di possesso di «materiale pornografico». Nonostante le prove a suo favore, le imputazioni sono state cambiate più volte dai magistrati africani.
LA VICENDAIn carcere di isolamento. Poi la mobilitazione popolareL’odissea giudiziaria di don De Pretis comincia nell’ottobre 2007 quando a Gibuti si scatena una campagna di stampa antifrancese che colpisce anche la Chiesa, accusata di creare «una rete per la pedofilia»: don Sandro è rinchiuso nel carcere di Gadobe, con accuse molto generiche. «Non dimenticate che io sono in prigione» scrive il 13 dicembre al settimanale “Vita Trentina” e si desta l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale: il «caso» va collocato nel conflitto fra Gibuti e governo francese. Spuntano allora presunti testimoni che portano a modificare l’accusa in «incitamento alla depravazione e alla corruzione di minori». Isolato dagli altri detenuti, il prete trentino si affida al suo vescovo, monsignor Giorgio Bertin, per il quale «sono accuse palesemente infondate», e al lavorio della diplomazia vaticana e italiana. Il 7 gennaio 2008, dopo la visita in carcere del suo delegato don Ivan Maffeis, l’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan, chiede l’intervento dell’allora premier Romano Prodi e del presidente francese Sarkozy. Una settimana dopo il vescovo di Gibuti parla della sofferenza di don Sandro al Papa, nella visita ad limina. Dopo la mobilitazione della stampa cattolica in Italia (oltre 5mila firme vengono raccolte on line) e la richiesta dei suoi familiari al giudice gibutino, don Sandro ottiene di uscire dal carcere «per motivi di salute» il 21 febbraio 2008: deve però rimanere in libertà vigilata in una casa di religiose, senza «incontrare giovani e possibili testimoni». Del caso si parla anche in agosto al vertice Fao, ma l’attesa snervante si protrae per questi 13 mesi, fino all’udienza di giovedì scorso.
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