Si tenta ancora disperatamente la via diplomatica, quindi, ma l’attacco potrebbe avvenire in qualsiasi momento già dopo l’evacuazione degli osservatori delle Nazioni Unite. Anche se servirebbero almeno «quattro giorni per elaborare dei risultati attendibili dei campioni prelevati», ha dichiarato ieri Ban Ki-moon nel tentativo, evidente, di prendere tempo e calmare le acque almeno finché il team dei 20 si trova in territorio siriano. Un’apertura non condivisa però dal presidente della Coalizione dell’opposizione siriana Ahmad Jarbe che, in Francia per incontrare il ministro degli Esteri Fabius, ha detto: «L’Occidente deve colpire il regime di Bashar al-Assad e portarlo davanti alla Corte penale internazionale ». Minacce immediatamente rimbalzate. «La Siria uscirà vittoriosa e più forte dallo “scontro storico” in atto con gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali, ha promesso il presidente siriano Bashar al-Assad, in un’intervista al quotidiano libanese filo-Hezbollah, Al-Akhbar . Parole evidentemente volte a scaldare gli animi dei suoi fedeli alleati: le milizie sciite libanesi di Nasrallah, presenti in gran numero nel Paese confinante.
Ma ben oltre la propaganda, il nervosismo a Damasco è palpabile, come dimostrano i febbrili spostamenti di soldati e civili nelle zone dove si trovano note basi militari e in cui vivono molti alauiti (minoranza religiosa della famiglia Assad). Uomini con valigie e macchine cariche di donne e bambini si sono visti abbandonare i quartieri sensibili di Mazzeh 86, non lontano dal centro della città dove fu istituita una colonia di militari alauiti negli anni Settanta, così come a Esh el-Warwar. Gruppi delle milizie irregolari del regime (shabbiaha), invece, avrebbero abbandonato la zona povera di Kadam, «portandosi via anche i mobili», come affermano testimoni locali.
Chi fugge si ripara nei quartieri ribelli, nella campagna di Damasco o in Libano, dove nella sola giornata di ieri sarebbero passate più 5.000 macchine siriane di grossa cilindrata (come riportato sul sito di al-Arabya). Gli alti ufficiali mettono in sicurezza le proprie famiglie e poi tornano indietro, in un viaggio (Damasco-Beirut) ancora praticabile in auto su un’autostrada sicura lunga poco più di 100 chilometri. Il problema però è per chi resta: «Nelle zone appena fuori Damasco c’è carenza di medicine, cibo e acqua – ha denunciato Magne Barth capo della delegazione la Croce Rossa internazionale in Siria –. L’escalation in corso – ha infine ammonito – non farà altro che peggiorare la condizione dei civili».