Dall’aeroporto tunisino della penisola di Djerba, decollano senza sosta gli aerei che portano a casa i fuggiaschi della Libia. Voli charter delle compagnie aeree arrivate da mezzo mondo, Cina, Pakistan, Turchia, Vietnam, ma anche con il tricolore italiano, e quelli militari, compresi gli Stati Uniti, tutti con il loro carico di stanca e intimorita umanità, raccolto alla frontiera con la Libia e da riportare a casa, presto.Solo ieri ci sono stati più di sessanta voli, tra cui un "C-130" dell’Aeronautica militare italiana che, decollato in mattinata da Pisa, in serata ha poi raccolto un’ottantina di profughi egiziani per poi fare il salto di due ore e mezzo di volo in direzione del Cairo. È un ponte aereo massiccio, che non si ferma, intanto che stanno arrivando anche le prime navi traghetto. Per stamane è previsto un attracco mercantile nel porto di Zarzis. Poco distante dalle spiagge dove salpano i barconi clandestini che hanno ripreso a fare rotta su Lampedusa, ma più che altro con il loro carico di tunisini.Nel grande salone delle partenze dell’aeroporto, dove in un silenzio ordinato, con la gente seduta a terra, come un grande dormitorio, e decine di calzini e asciugamani stesi ad asciugare, circa 3.000 asiatici attendevano il loro turno di partenza, il direttore dell’aeroporto, Zouhaier Badreddine, incontrando un gruppo di giornalisti, dice: «Tutto sta funzionando bene e con regolarità. Sono rimasti soprattutto gli asiatici: filippini, vietnamiti e bengalesi. Di egiziani qui non ce ne sono più. Con oggi (ieri per chi legge, ndr) arriveremo a quota 50mila persone che siamo riusciti a far defluire dalla Tunisia verso i paesi d’origine, da quando è cominciata la crisi libica. Sappiamo che c’è ancora molta gente in attesa alla frontiera tunisina di Ras Jedir. Ma se tutto procede, come io credo, nel giro di qualche giorno dovremmo risolvere questa emergenza».All’aeroporto di Djerba, ieri pomeriggio, dopo un giorno a Tunisi per contatti con il governo, è arrivata anche l’avanguardia tecnica della missione italiana. Una squadra avanzata di esperti della Farnesina e della Protezione civile con l’incarico di predisporre tutto quanto serve per il nostro intervento umanitario, con un primo sopralluogo nella zona di frontiera di Ras Jedir e alla tendopoli dell’"Unhcr" di Shousha. Finalmente anche gli ultimi degli ultimi hanno potuto raggiungere, a piedi, con il loro carico di valigioni sulla schiena, il campo di accoglienza di Shousha.Una sterminata colonna di disperati, migliaia di cittadini del Bangladesh, nei giorni scorsi fuggiti dalla Libia, e accampati a Ras Jedir in condizioni molto difficili e precarie, ieri marciava dal confine della Tunisia in direzione Nord, per circa sette chilometri, prima di accasciarsi, sfiniti dal sole, al riparo delle bianche tende dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.La frontiera occidentale della Libia, invece, sembra nascondere il mistero su che fine hanno abbiano decine di migliaia di persone, quello che era considerato il grosso dei profughi e che qualcuno teme trattenuto nel tentativo di ostacolare l’esodo, con le armi delle milizie pro Gheddafi. Nelle ultime 48 ore il flusso di persone alla frontiera è improvvisamente crollato dai 15 mila ingressi giornalieri si è passati a poco meno di duemila. Sul fianco tunisino di Ras Jedir, secondo dati Onu, ci sono ancora 12.500 persone, di cui appunto circa 10mila sono i bengalesi, che restano in attesa di essere evacuate verso i punti di partenza di Djerba e Zarzis.L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da Ginevra, teme che si stia impedendo ai civili di fuggire dalla Libia e questo spiegherebbe perché si è ridotto il movimento che attraversa la frontiera. Mentre le notizie di ieri erano che molti che cercano di lasciare la Libia, si stanno dirigendo verso altre punti di frontiera, più meridionali, come Algeria e Chad.