sabato 4 dicembre 2010
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Che la diplomazia sia «un lavoro da spugne», i 250mila file del dipartimento di Stato americano messi online da Wikileaks lo dimostrano in maniera inoppugnabile. Notizie ricavate da giornali e riviste, gossip, discorsi captati a ricevimenti ufficiali o in qualche salotto, tutto viene assorbito e riportato – quasi sempre ancora via valigia diplomatica, non per posta elettronica – in madrepatria. Funziona così dappertutto, da Washington a Londra, da Parigi a Berlino. Anche la nostra Farnesina trabocca di rapporti del genere.Ma una volta arrivati a destinazione, che fine fanno? Come vengono utilizzati? Che “peso” effettivo hanno? Tutto questo, innanzitutto, dipende dalla classificazione. Il discusso rapporto di Elizabeth Dibble con i giudizi sul premier Silvio Berlusconi, per esempio, non ha nessuna particolare classificazione di riservatezza (come la stragrande maggioranza dei file rivelati da Wikileaks); in questo caso finiscono in un faldone dove un funzionario analista provvederà a esaminarlo e, se lo ritiene, aggiorna il “file Italia”. Dopo di che il rapporto originale viene depositato in un archivio elettronico e da qui, periodicamente, a blocchi interi, trasferito a un secondo archivio di deposito (da molti definito «cyber pattumiera»). Per inciso, è molto probabilmente proprio da uno di questi trasferimenti che arriva il blocco delle rivelazioni di Wikileaks, riemerse poi in Svizzera – ma poteva essere l’Honduras come la Mongolia – dipendendo la scelta del “dove”, per proteggere la fonte, solo dalla necessità di definire un percorso impossibile da ricostruire. Roba da hacker, insomma. Informazioni di questo livello difficilmente influenzano il nocciolo duro dei rapporti bilaterali tra due Stati. Ma possono avere altri effetti, a partire dalle cose più minute e pratiche, come le situazioni protocollari. Sapere se il presidente “X” preferisce il cognac al whisky, o quali sigari prediliga. può rivelarsi, a volte, molto utile. Così, per restare all’esempio di prima, è difficile immaginare che le informazioni della Dibble non abbiano influenzato la decisione di Michelle Obama, in occasione del G20 di Pittsburgh del 25 settembre 2009, di limitarsi a stringere la mano a Berlusconi invece che abbracciarlo come aveva fatto con gli altri invitati. Prudenza diplomatica, con un occhio all’opinione pubblica e ai sondaggi.Del tutto diverso è invece il caso della nota con la quale l’ambasciatore a Roma Ronald Spogli informava il Dipartimento di Stato di una “voce”, raccolta dall’ambasciatore georgiano, circa presunti interessi privati del nostro premier in Russia. In questo caso si tratta di una notizia cosiddetta «sensibile» – in quanto potrebbe investire direttamente gli interessi nazionali, in questo caso degli Usa – sulla quale il Dipartimento di Stato è chiamato a compiere tutte le verifiche del caso. Iniziando col verificare se, per esempio, tracce della stessa notizia siano già arrivate da altre fonti e siano già state archiviate. Se ciò non è avvenuto, il primo passo in genere è di attivare le sedi diplomatiche che potrebbero essere interessate, e solo in un secondo tempo – a meno che l’informazione su cui si lavora non sia davvero considerata preoccupante – la palla viene passata ai servizi d’intelligence.
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