Alla fine le uniche voci ufficiali del supervertice telefonico che si celebra all’ora di pranzo arrivano da Stati Uniti e Giappone. L’Italia è rappresentata da Mario Monti e Vittorio Grilli e alla
conference call del G7 partecipano anche i ministri delle Finanze e i governatori delle sette banche centrali più importanti del mondo. Però a dominare la scena, sia pure virtualmente, è il
diktat che arriva dalla Casa Bianca: fate in fretta, fate di più. Di più: seguite il nostro esempio. «Agite con urgenza, l’amministrazione Obama è pronta e disponibile a consultarsi e a consigliare» le capitali europee sul fronte delle «importantissime decisioni» che devono essere prese, è la linea del portavoce della Casa Bianca, Jay Carney.Le conclusioni emerse dal G7 sono sostanzialmente due: non si può non salvare la Grecia e la Spagna e, per farlo, occorre isolare (se serve) la Germania di Angela Merkel. Lo svela una fonte quando prevede che l’incontro «diventerà un tutti contro Berlino». L’oggetto della contesa nello specifico è il salvataggio delle banche di Madrid, «troppo orgogliosa» per dire sì a una misura del genere. Ma è il clima generale quello che più conta: per la prima volta, in modo semi-ufficiale, la linea tedesca di massimo rigore e minima condivisione dei rischi viene di fatto messa sotto accusa. Lo fa capire velatamente prima il Tesoro Usa, chiarendo che il summit «ha discusso i progressi verso un’unione fiscale e finanziaria europea»: è un progetto che lo stesso G7 «monitorerà da vicino» in vista del G20 messicano che si svolgerà il 18-19 giugno.Washington chiede che si faccia tutto il possibile per arginare il rischio contagio, a pochi mesi dalle elezioni per la Casa Bianca. Dopo aver detto «no» all’aumento del Fondo salva Stati e all’introduzione degli eurobond, è il ragionamento che si fa sull’altra sponda dell’oceano, la Germania deve dare un segnale chiaro almeno in termini di protezione del sistema bancario europeo. La traduzione pratica? È necessario innanzitutto mettere in sicurezza la Spagna, la cui esposizione nel comparto del credito potrebbe aggirarsi addirittura tra i 50 e i 100 miliardi. «L’Europa ha intrapreso passi importanti per affrontare la crisi, ma i mercati si attendono di piu e bisogna fare di più» ribadisce a scanso di equivoci uno dei consiglieri del presidente Barack Obama, Michael Froman.È un pressing a tutto campo quello portato avanti dagli Stati Uniti, cui si aggiunge la presa di posizione del ministro delle Finanze giapponese, Jun Azumi. «Non si è discusso della possibilità di una uscita della Grecia dall’euro» spiega Azumi, aggiungendo che «un accordo per trovare insieme una soluzione ai problemi» di Atene e Madrid c’è. Che sia in atto una controffensiva dei Paesi extraeuropei nei confronti dell’Ue, e nella fattispecie del suo Paese simbolo, la Germania, lo si capisce dalla frase successiva. «Abbiamo condiviso una ricognizione sulle questioni europee – osserva Azumi – e la parte europea ha detto che ci sarà una risposta rapida».Non è stato un negoziato alla pari, dunque, e il silenzio delle cancellerie del Vecchio continente al termine della
conference call lo dimostra ampiamente. L’allarme sulla tenuta dell’euro è stato (ri)lanciato, ora sono necessarie le contromisure. Intanto le manovre di avvicinamento al Consiglio europeo di fine mese, vero traguardo cruciale per capire se si svolterà o no soprattutto dopo il temutissimo voto in Grecia, non si sono affatto interrotte. Il presidente francese François Hollande sarà in visita ufficiale a Roma settimana prossima, il 14 giugno, «nel quadro – ha spiegato una nota di Palazzo Chigi – dei rapporti di intensa amicizia e vicinanza fra i due Paesi». Otto giorni dopo andrà in scena, sempre nella Capitale, un mini-vertice a quattro che prevede la presenza, oltre a Monti e Hollande, di Angela Merkel e Mariano Rajoy. Solo a quel punto, l’impaziente alleato americano potrà capire se i timori malcelati del G7 odierno si saranno davvero rivelati fondati.