sabato 6 dicembre 2014
L’orrore nella città libica occupata: esecuzioni dell’Is allo stadio. Già a ottobre, la parte orientale aveva giurato fedeltà ad al-Baghdadi. Poi la conquista totale.
Grandi manovre dell’Occidente intorno ai confini
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C’è una città sulle coste del mar Mediterraneo in cui le nefaste bandiere nere dello Stato islamico sventolano sui palazzi e i veicoli della polizia esibiscono le insegne dell’Is sulle fiancate. Si tratta di Derna, centro urbano libico abitato da 80-100mila persone, dalla fine di novembre interamente nelle mani dei miliziani devoti al califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Già a ottobre, la parte orientale della città ha giurato fedeltà al progetto di una “Dàula islamiya”, una nazione islamica. Poi, la conquista totale, dopo furibondi combattimenti a pochi chilometri dal confine con l’Egitto, a metà strada fra Bengasi e Tobruk. Nei dintorni di Derna, fonti dei servizi libici confermano la presenza di una decina di campi di addestramento per i combattenti del Nord Africa, così come altre strutture di supporto nei pressi delle Montagne Verdi. E pensare che poco più di un secolo fa a Derna, in passato capitale della Cirenaica, sventolavano le bandiere italiane. Era il 1911. E che alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel 1939, la città era una provincia del Regno d’Italia e recava, nella sua organizzazione urbana e nella toponomastica, forte traccia del colonizzatore. Ancora oggi, su quella superstrada che costeggia il mare, si affacciano vie dal nome italico: Littora, San Francesco, Dell’Acqua. Chissà se durerà ancora a lungo, viene da chiedersi. A Derna, è la vita quotidiana a essere ridisegnata con meticolosità. Un cenno di cronaca più che esaustivo: nello stadio di calcio cittadino non si mette più piede per divertirsi, ma per assistere alle decapitazioni. O meglio, non ci si diverte tifando i calciatori, ma i tagliagola. Secondo l’intelligence americana, alla guida degli islamisti c’è l’emiro Abu Nabil al-Anbari, iracheno, sodale di al-Baghdadi dai tempi della loro comune detenzione nelle prigioni americane in Iraq. Anbari è il nome di battaglia di Wessam Abd Zeid, emiro di Anbar, e ha ricevuto da al-Baghdadi la responsabilità dell’emirato per il Nord Africa. Il principe nero ha al suo servizio circa 800 seguaci addestrati, di cui 300 libici, tutti rientrati dopo un’esperienza nelle province assoggettate di Mosul, in Iraq, e di Deir ez-Zor, in Siria, con la Brigata al-Battar. A Derna non c’è più traccia di al-Qaeda, concorrente politica dei Daesh (acronimo arabo dello Stato islamico): la resa dei conti risale al mese di ottobre, quando gli affiliati a Is, sostenitori del Consiglio della Shura per la gioventù islamica, ha avuto la meglio su un’altra fazione, la Brigata Abu Salem, pro-al-Qaeda. Le immagini amatoriali di un carosello di macchine sbandieranti i simboli dei nuovi califfi di Derna continuano a circolare in Internet, come réclame finalizzata a rafforzare l’influenza della neonata divisione Barqa, antico nome della regione ai tempi del dominio musulmano, successivo all’impero romano. «La situazione a Derna è fuori controllo – dichiara Ezzedin al-Awami, ex vicepresidente del Congresso e designato dal premier al-Thani ambasciatore a Roma –. Ma la città è circondata dalle forze armate, che grazie al sostegno del Parlamento e del governo ora sono più forti: potremmo riprenderla». I Daesh, dunque, controllano amministrazione, educazione, media e giustizia. A chi conosce la storia recente della città mediterranea, la cronaca dei nostri giorni tutto sommato non sorprende: umiliata nell’era della Jamahiriya di Muammar Gheddafi, emarginata, impoverita, ferita nell’ambizione regionale a favore di Bengasi, Derna ha contribuito alla causa di al-Qaeda in Iraq più di qualsiasi altra cittadina del Medio Oriente, con il maggior numero di arruolati per abitante. E ora, con le prediche del saudita Abu al-Baraa el-Azdi, esperto di diritto islamico alla maniera Daesh, “ispira” gli attentatori suicidi di tutto il Nord della Libia.
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