giovedì 5 marzo 2009
La Corte Penale Internazionale (Cpi) dell'Aja ha emanato un mandato d'arresto nei confronti del presidente sudanese Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra e contro l'umanità per i massacri nel Darfur. Nei suoi confronti non è stata però accolta l'accusa di genocidio.
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Non che nessuno si aspetti davvero di vederlo entrare in manette nel carcere olandese di Scheveningen. E però il mandato d’arresto spiccato ieri dalla Corte penale dell’Aja (Cpi) contro il presidente sudanese Omar Hassan el-Bashir lancia comunque un segnale (per quanto indebolito dalle prese di distanza di diversi Paesi) alla comunità internazionale: i crimini di guerra e contro l’umanità non possono e non devono restare impuniti, anche quando sono stati commessi da capi di Stato ancora in sella e ben protetti da alleanze trasversali.Con la loro decisione i giudici dell’Aja hanno accolto come fondata la richiesta di arresto del procuratore capo della Corte, l’argentino Luis Moreno-Ocampo, relativamente a sette capi di accusa commessi durante il conflitto nella regione occidentale sudanese del Darfur. Non accolta, invece, almeno per ora, l’accusa di genocidio, perché il materiale messo a disposizione dal procuratore non ha fornito ragionevoli motivi sullo «specifico intento» del governo del Sudan di distruggere i gruppi etnici Fur, Masalit e Zaghawa. Anche se, davanti a nuove prove e informazioni, i giudici potrebbero includere il reato di genocidio in un secondo momento.Tra le accuse accolte figurano invece l’omicidio, lo sterminio, il trasferimento forzato, la tortura, lo stupro, l’organizzazione intenzionale di attacchi contro la popolazione civile e la devastazione. Secondo le Nazioni Unite, sono almeno 300mila le persone ad aver perso la vita da quando, nel 2003, è esploso il conflitto nel Darfur. Bashir avrebbe orchestrato i massacri, anche con l’appoggio alle famigerate milizie arabe janjaweed.Il Sudan è ora «obbligato in base alle norme del diritto internazionale a eseguire il mandato di arresto, ci vorranno due mesi o due anni ma Bashir risponderà alla giustizia», è stato il commento di Moreno-Ocampo. A Khartum, però, il regime ha già fatto quadrato intorno al suo uomo forte. Il ministero della Giustizia ha sottolineato che il Sudan non consegnerà nessuno alla Cpi dell’Aja, mentre un consigliere presidenziale ha detto che il mandato d’arresto contro el-Bashir fa parte di un piano «neo-colonialista». Centinaia di dimostranti si sono riuniti nel pomeriggio di ieri a Khartum per protestare contro il mandato d’arresto. La tensione è salita anche in Darfur, dove centinaia di militari sudanesi hanno marciato ad el-Fasher in una dimostrazione di forza.A livello internazionale le reazioni alla decisione dell’Aja non sono mancate. Bashir può contare sul sostegno politico sia di partner commerciali importanti come Cina e Russia sia di diversi Paesi africani, molti dei quali hanno manifestato la convinzione di un presunto «pregiudizio antiafricano» della Corte dell’Aja. La stessa Unione africana (che in Darfur schiera circa 7mila baschi verdi) ieri ha affermato che il mandato d’arresto contro el-Bashir rischia di minacciare il fragile processo di pace in Sudan. L’Egitto ha chiesto una riunione urgente e straordinaria al Consiglio di sicurezza dell’Onu con l’obiettivo di rinviare di un anno il procedimento del mandato d’arresto, che per Mosca rappresenta un «precedente pericoloso nel sistema delle relazioni internazionali».Sulla questione, gli Stati Uniti («dimenticando» di essere stati finora tra i maggiori boicottatori della Corte dell’Aja nel timore di inchieste relative ad Iraq e Afghanistan) ritengono che «chi ha commesso atrocità debba essere portato davanti alla giustizia e che i civili vanno protetti». Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto al Sudan di garantire l’incolumità dei civili e del personale delle Nazioni Unite nel Paese. Secondo il suo portavoce, Ban «riconosce l’autorità della Cpi come istituzione giudicante indipendente».Un grido di gioia per la decisione della corte si è levato nei campi profughi del Darfur e del vicino Ciad. «Ho perso quattro parenti per colpa di Bashir – ha affermato una giovane profuga – Aspettavamo questa decisione con ansia». Di «grande vittoria per le vittime del Darfur e del Sudan» ha parlato il Movimento di liberazione del Sudan (Slm), principale gruppo ribelle, secondo il quale questa decisione «cambierà molte cose ed è grande la speranza che i massacri possano cessare». Il che, evidentemente, è tutto da verificare, mentre già pressoché nulle sembrano le ipotesi di un effettivo arresto di Bashir. La Cpi, che non dispone di una forza di polizia, trasmetterà, «immediatamente» al Sudan, agli Stati membri della corte e al Consiglio di sicurezza dell’Onu la richiesta di cooperazione per l’arresto e il trasferimento del presidente. «La responsabilità di arrestarlo e trasferirlo spetta agli Stati», ha detto il cancelliere della Corte Silvana Arbia. Ma Khartum ha già annunciato in tutta tranquillità che il presidente si recherà il 30 marzo a Doha per il vertice della Lega araba e che parteciperà anche ai futuri summit della stessa organizzazione e dell’Unione africana.
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