A ormai più di un mese dalla richiesta di un mandato d’arresto per crimini di guerra nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan el- Bashir (emessa dalla Corte penale internazionale dell’Aja), il regime di Khartum continua a sfidare la comunità internazionale. Nel corso di una nuova visita nel Darfur, Bashir è infatti tornato a sottolineare nei giorni scorsi che la giustizia internazionale non ha alcun potere e alcun ruolo in Sudan, e che spetta invece ai tribunali locali occuparsi dei colpevoli dei crimini nella regione occidentale. Per i giudici del-l’Aja, però, proprio Bashir è da considerarsi l’imputato numero uno della catastrofe, a causa dell’appoggio che il regime ha dato in questi anni ai miliziani filo- governativi janjaweed e ai continui bombardamenti nei villaggi della regione. Da parte sua Bashir, annunciando l’avvio dell’attività di una commissione per la pacificazione fra le tribù, ha detto che « dopo la riconciliazione indagheremo su quelli che hanno commesso reati, quelli che sono stati uccisi e quelli che hanno ucciso. Ognuno vedrà rispettati i suoi diritti, questa è giustizia » . Forte del sostegno ricevuto soprattutto dall’Unione africana e dai leader della Lega araba, nelle scorse settimane Bashir ha sfidato il mandato d’arresto internazionale recandosi più volte all’estero (tra le sue tappe l’Eritrea, la Libia, il Qatar e l’Arabia Saudita). Khartum si è impegnata a collaborare pienamente con l’alta commissione formata dall’Unione africana, sotto la guida dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, per indagare sulle cause del conflitto del Darfur e per elaborare raccomandazioni che portino alla sua fine. La commissione ha ancora a disposizione quattro mesi di tempo per concludere i suoi lavori ed è previsto torni in Sudan prima della fine della missione. « Questo conflitto dura da troppo tempo – ha detto Mbeki durante la visita a Khartum – è molto oneroso sotto vari aspetti. Bisogna fare qualcosa per farlo finire il più presto possibile » . Per il momento Bashir continua a rifiutare il ritorno sul campo alle 13 Ong straniere espulse con l’accusa di spionaggio a favore dei giudici dell’Aja. Il governo sudanese sostiene di essere in grado di proseguire da solo nell’attività di assistenza umanitaria agli sfollati, ma le Nazioni Unite hanno già sottolineato il rischio che l’impegno del regime si riveli largamente insufficiente. A livello diplomatico, da segnalare la missione dei giorni scorsi in Sudan dell’inviato speciale del presidente Usa Barack Obama, Scott Gration. Secondo quest’ultimo, Washington e Khartum hanno «una nuova opportunità di costruire un rapporto di fiducia in presenza della nuova amministrazione Usa » . La visita di Gration in Sudan e Darfur ha dato all’inviato americano la possibilità «di avere conoscenza di prima mano della situazione umanitaria e della sicurezza, invece di formarsi idee e impressioni basate su immagini e dati riferiti» . Gli Stati Uniti sono ora «pronti ad intervenire positivamente sulla situazione del Darfur» , ha concluso lo stesso Gration. Da parte sua, il segretario delle relazioni esterne del partito sudanese al potere, il National Congress Party ( Ncp), Mustafa Osman Ismail, ha rilevato che «la nuova amministrazione del presidente Obama ha bisogno di tempo per avere chiara la situazione generale del Sudan» . La Casa Bianca, all’indomani del mandato di cattura contro el- Bashir, era stata chiara: «Chi ha commesso atrocità deve essere chiamato a risponderne» , era stato il messaggio rivolto a Khartum. Ma il margine di manovra di Obama, con un Bashir sotto accusa ma ancora così ben protetto, è inevitabilmente ridotto. L’azione diplomatica degli Stati Uniti, che con Londra costituiscono il fronte di opposizione al regime, non si ferma. Anche John Kerry, ex candidato presidenziale e capo della commissione Esteri del Senato di Washington, è in questi giorni in Sudan per una visita ed ha in- contrato diversi alti funzionari del Paese. A suo parere il Sudan sarebbe disposto ad autorizzare l’ingresso di nuove Ong nel Darfur, senza però precisare se si tratti delle stesse organizzazioni islamiche ipotizzate dal presidente egiziano Mubarak dopo l’incontro di due settimane fa con Bashir. «Verrà riutilizzata parte della capacità atta a garantire assistenza umanitaria» , ha dichiarato l’altro ieri John Kerry, sottolineando tuttavia di aver « ribadito a tutti i leader che un parziale ripristino della capacità non è sufficiente. Il tempo è essenziale per evitare una catastrofe umanitaria».