mercoledì 26 marzo 2025
Un noto influencer pachistano è stato incriminato ai sensi della controversa legge sulla blasfemia. Un oppositore cubano è stato invece condannato a sette anni di carcere per il reato di "propaganda"
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La libertà non corre sui social. Anzi il mondo "virtuale" è sempre più spazzato da venti di censura e di oppressione. Un noto influencer pachistano, lo YouTuber Rajab Butt, è stato incriminato ai sensi della controversa legge sulla blasfemia e sui reati informatici e rischia, in caso di duplice condanna, fino a 20 anni di carcere. Lo hanno riferito i media locali, precisando che la polizia di Lahore, città nell'est del Paese, ha aperto un'inchiesta sulla base di una denuncia intentata contro Butt, che ha milioni di follower, da parte del partito ultraconservatore Tehreek-e-Labbaik Pakistan (Tlp), la cui agenda politica si basa proprio sul contrasto alla blasfemia e che in passato ha organizzato marce e proteste sul tema spesso degenerate in scontri.

Butt è finito sotto accusa per "aver ferito i sentimenti religiosi" dopo aver lanciato il suo profumo chiamato 295, la sezione del codice penale pakistano che disciplina la legge sulla blasfemia, in un video che ora è stato eliminato e che, secondo i suoi accusatori, irrideva la legge. Nel video citava anche la canzone 295 del defunto rapper indiano Sidhu Moose Wala, ritenuto il suo "mentore". Lo YouTuber è fuggito dal Pakistan e ha poi pubblicato un video di scuse girato di fronte alla Kaaba, il più importante luogo di culto per i musulmani che si trova a La Mecca, in cui ha chiarito i motivi del suo gesto. "Mi scuso per le parole che ho pronunciato durante il lancio del profumo - ha affermato - Mi scuso e annuncio la sospensione della vendita di questo profumo". Secondo un funzionario della polizia di Lahore, Butt verrebbe arrestato se tornasse in Pakistan.

Il caso è uno degli argomenti più discussi sui social in questi giorni in Pakistan, con l'hashtag #RajabButt in tendenza su X. La blasfemia, incluso l'insulto al profeta Maometto, è un reato punibile in Pakistan dagli anni '80. Le leggi prevedono la pena di morte nei casi più gravi. Ma non basta. Sempre in Pakistan, cinque uomini sono stati condannati a morte per "blasfemia online". Lo ha riferito un avvocato coinvolto nel procedimento. La sentenza è stata emessa da un tribunale di Rawalpindi, vicino a Islamabad.

Un altro caso si è registrato a Cuba. Secondo l'Osservatorio cubano dei diritti umani su X, un oppositore è stato condannato a sette anni di carcere per il reato di "propaganda contro l'ordine costituzionale". La sentenza contro Alexander Fábregas, di 34 anni, è stata emessa dall'aula per i Crimini contro la sicurezza dello Stato del Tribunale provinciale di Villa Clara. I giudici hanno basato la loro condanna sui messaggi pubblicati dal giovane sui social, accusandolo di aver messo in discussione "il sistema statale cubano" attraverso "video in diretta da lui stesso realizzati". "In piazza finché non cade la dittatura" e "la disobbedienza civile è un diritto, non un crimine" sono alcuni dei post incriminati, dove secondo i togati verrebbe anche "attaccato" il presidente Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez. Per i magistrati, i post miravano a "causare disordini sociali", sebbene non abbiano ricevuto più di 400 commenti né generato oltre 220 reazioni. Fábregas, agli arresti da luglio 2024, in passato aveva già scontato una condanna di nove mesi per aver incentivato le proteste antigovernative avvenute in decine di città cubane l'11 e il 12 luglio 2021, nonostante in quell'occasione non vi avesse partecipato attivamente.

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