Sottile, strisciante, quasi invisibile. Eppure esiste. Anche nella liberale Europa. La discriminazione religiosa riguarda tutte le fedi presenti nel Vecchio Continente. Non solo, dunque, quelle “importate” dai flussi migratori più recenti e non ancora radicate. Ad essere vittima di intolleranza è, spesso, pure la religione maggioritaria, cioè quella cristiana. Certo, non si arriva ai casi eclatanti dei “pogrom” dell’Orissa o dell’Iraq. Si assiste, però, a episodi che destano una certa preoccupazione. Tanto che del tema, negli ultimi anni, si sta occupando l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che opera in 56 Stati, per la maggior parte dell’Unione Europea, ma anche molte nazioni asiatiche e il Nordamerica.«Intolleranza ed emarginazione nei confronti dei cristiani sono presenti in varie forme nei Paesi dell’area Osce», ha dichiarato l’anno scorso, dopo il primo incontro sull’argomento a Vienna, Janez Lenarcic, direttore dell’ufficio per la democrazia e i diritti umani dell’organizzazione.Ieri e oggi, sempre a Vienna, l’Osce ha organizzato un secondo dibattito. In cui esperti internazionali e rappresentanti di associazioni discutono di libertà religiosa e, soprattutto, dei limiti – legali e sociali – che la riducono. A volte, considerevolmente. Il problema – spiega ad Avvenire Silvio Ferrari, docente di Diritto delle religioni all’Università di Milano e consulente dell’Osce – è tornato alla ribalta negli ultimi vent’anni. Quando – aggiunge l’esperto – «col crollo delle grandi ideologie, la religione, relegata a lungo nella sfera individuale, ha cominciato a ricomparire nello spazio pubblico». Da qui, è nata una certa tensione con un’applicazione rigida e estremizzata dei diritti dell’uomo. In particolare, col diritto – per altro legittimo e sacrosanto – a non subire discriminazioni.Per garantire uguaglianza assoluta di trattamento a tutti i cittadini, si finisce però per ledere le prerogative di alcuni gruppi. Un paradosso. Perverso ma reale. «Spesso le legislazioni accolgono rigidamente il principio di non discriminazione. E questo, finisce per comprimere la libertà religiosa dell’individuo». Sembrano concetti astratti. Ma non lo sono. I molti casi raccolti negli ultimi cinque anni dall’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione verso i cristiani in Europa lo dimostrano.In Gran Bretagna, ad esempio, dal 2009, i funzionari cattolici negli uffici di adozione sono costretti a scegliere tra svolgere le pratiche per l’affidamento dei bambini alle coppie omosessuali o lasciare il posto di lavoro. L’obiezione di coscienza, in base alle proprie convinzioni religiose, non è consentita. «Il Consiglio d’Europa non ha approvato per un soffio, appena quattro voti, una norma che imponeva a tutti gli ospedali di praticare i trattamenti, in materia sessuale e riproduttiva, considerati legali – dice Gudrum Kugler, presidente dell’osservatorio –. Compresi quelli che potevano creare forti scrupoli a chi ha determinate convinzioni religiose».Ci sono, poi, i vari divieti di esporre o indossare simboli religiosi, banditi in nome di una pretesa “laicità” dello spazio pubblico. Si torna nuovamente a quest’ultimo concetto. Quanto la religione può essere “mostrata” o semplicemente esercitata fuori dall’ambito strettamente privato? «Il punto è che, erroneamente, si considera lo spazio pubblico come spazio vuoto – dichiara Mario Mauro, parlamentare europeo e rappresentante della Presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione – in cui c’è spazio solo per il credo del nulla. Questo è discriminante». Alla discriminazione “legale” contro i cristiani – e a volte altre comunità religiose – si aggiungono pregiudizi sociali, stereotipi, rappresentazioni insultanti.Difficile tenere a mente tutta la casistica. «Per questo abbiamo chiesto ai governi di prestare attenzione alla questione e monitorarla in modo sistematico, in modo da avere dati precisi», aggiunge la Kugler. E porre fine al fenomeno. «Occorre riflettere attentamente sul pluralismo religioso e culturale – afferma Ferrari – che permea l’Europa». In modo da trovare un punto di equilibrio tra libertà di religione e uguaglianza del diritto.