Quasi due milioni di persone nello stato indiano di Assam rischiano di essere privati della cittadinanza e deportati in quanto considerati "stranieri illegali", incapaci di dimostrare di trovarsi in India prima del 24 marzo 1971, giorno prima che il Bangladesh proclamasse l'indipendenza dal Pakistan. Il 31 agosto New Delhi ha pubblicato la versione finale del Registro nazionale dei cittadini, dal quale emerge che 1,9 milioni di persone nello stato nordorientale di Assam non sarebbero in grado di dimostrare di essere arrivati prima di quella data. Hanno tempo 120 giorni per fare ricorso.
È, in apparenza, un caso locale. Un intreccio di problematiche demografiche, sociali e politiche lo sta trasformando in una tempesta che rischia di estendersi all’intera India. La questione riguarda gli abitanti di origine bengalese della regione nord-orientale di Assam, che conta 31 milioni di persone. In un contesto di forte disoccupazione, è facile credere che l’immigrazione dal Paese vicino sia la causa della crisi. Tanto più che alla ragione economica si somma una differenza di carattere religioso: i nuovi arrivati sono musulmani (e quindi, nell’opinione comune, una banca di voti per il Partito del Congresso capofila dell’opposizione al governo nazionalista e filo-induista in carica). Tale scenario ha trasformato l’aggiornamento del Registro nazionale dei cittadini (Nrc) sollecitato anche dalla Corte Suprema, in una “patata bollente”.
Questo prevede che vengano esclusi dall’elenco tutti coloro i quali non possano dimostrare la presenza in India anteriore al 24 marzo 1971, di fatto dopo la nascita del Bangladesh indipendente. Proprio da quando, cioè, il flusso migratorio, mai interrotto, si fece intenso. Ai quattro milioni di individui esclusi dalla lista in precedenza (1,5 milioni musulmani e 2,5 milioni indù o di appartenenza animista e tribale), il 26 giugno se ne sono aggiunti altri 102mila la cui situazione è sotto revisione nei tribunali. Per tutti, la scadenza che ne deciderà la sorte è quella del 31 luglio. Il paradosso è, in teoria, l’aggiornamento del Registro dove doveva censire la popolazione per meglio garantirne i diritti.
Ora, però, sembra trasformarsi in uno strumento di selezione e controllo. In particolare perché i criteri di selezione sembrano sbilanciati a favore di indù, cristiani, sikh, buddhisti, parsi e jaina provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Questo genera, dunque, nei musulmani il sospetto di una “agenda” segreta di esclusione. Milioni di individui della regione rischiano di trovarsi improvvisamente fuorilegge dopo essere stati accettati anche per lungo tempo all’interno delle frontiere indiane. Poco conta che si tratti di nativi della regione a cui le vicende nazionali e internazionali hanno tolto il diritto di cittadinanza. O di nuovi arrivati, per quanto immigrati di lungo corso. Per tutti si aprirà un tempo di incertezza e per molti sarà probabile l’espulsione. Un “esperimento” dai risvolti drammatici che la politica vorrebbe estendere.
Il 17 luglio, il ministro dell’Interno federale Amit Shah, presidente del Bharatiya Janata Party (Bjp), partito di governo che ha da poco avviato il secondo mandato consecutivo sotto la conduzione di Narendra Modi, ha preso la parola in Parlamento per promettere di ampliare geograficamente l’Nrc all’intero Paese. «Identificheremo tutti gli immigrati illegali e gli infiltrati che vivono su ogni centimetro di questo Paese e li deporteremo in base alle leggi internazionali», ha sottolineato il ministro Shah.
La proposta non è nuova: è uno dei leitmotiv dei nazionalisti indù. La questione, però, è tornata alla ribalta con particolare virulenza la campagna elettorale di aprile-maggio. In un’occasione, Shah ha definito «termiti», gli «immigrati illegali dal Bangladesh. «Non si capisce per quale ragione non debbano essere respinti nel Golfo del Bengala», ha aggiunto. L’intenzione di «attuare l’Nrc in diverse fasi in altre parti del Paese», è stata ribadita anche dal presidente Ramnath Kovind nel discorso di apertura del nuovo Parlamento post-voto.
Un impegno su scala continentale, quello del Registro nazionale dei cittadini che molti ritengono sarà impossibile da attuare. L’India è semplicemente troppo vasta e il compito di accertare la genealogia di ciascun individuo residente sarebbe impossibile da realizzare con successo, anche se ne fosse provata la necessità.
È certo, però, che la sola ipotesi è sufficiente per creare una forte pressione sulle minoranze. Nonché a galvanizzare sentimenti nazionalisti e identitari, in cui una presunta “indianità” viene fatta coincidere con l’appartenenza induista. Il rischio più immediato, però, per il governo, è quello di restare imbrigliato nella sua stessa retorica e di essere in qualche modo portato a cavalcare l’onda anti-immigrazione.
Intanto, in un Assam devastato dalle piogge monsoniche che stanno creando non poche difficoltà a chiarire in tempo utile identità e provenienza di milioni di persone, la necessità evidenziata dagli attivisti – tra cui anche molti cristiani – è di analizzare con chiarezza la situazione dopo la scadenza e intervenire in ogni modo possibile a sostegno degli esclusi.