lunedì 14 aprile 2025
Il leader conservatore ha vinto con il 56% dei consensi. La progressista Gonzales chiede però il riconteggio dei voti accusando l'avversario di una frode elettorale grossolana e di abuso di potere
La conta dei voti durante il ballottaggio delle presidenziali

La conta dei voti durante il ballottaggio delle presidenziali - Reuters

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Era un copione pronto. L’accusa di «brogli» o di «frode elettorale» circolava già da settimane nei media locali ed esteri, sui social e fra gli stessi candidati alla presidenza dell’Ecuador per il periodo 2025-2029. Ciascuno era convinto di avere il “pueblo” dalla propria parte. Una vittoria dell’altro – vuoi il conservatore Daniel Noboa, vuoi la socialista Luisa Gonzalez – sarebbe stata perciò inammissibile. Anche Noboa era pronto a denunciare la «frode», ma ha vinto con il 56% dei voti mentre Gonzalez ha ottenuto il 44%. Così, dopo l’annuncio dei risultati da parte del Consiglio nazionale elettorale (Cne), la sera di domenica 13 april l’ex candidata di Revolución Ciudadana, non ha riconosciuto la vittoria dell’avversario. Ha denunciato una «frode elettorale grossolana», chiedendo il «riconteggio» dei voti e l’«apertura delle urne». Ergo: optare per la procedura manuale diffidando del sistema di voto elettronico, già al centro delle polemiche per la sua presunta – ma mai dimostrata – manipolabilità. Gonzalez ha inoltre accusato Noboa di «abuso di potere» e di aver strumentalizzato il Consiglio nazionale elettorale per «attentare contro la democrazia».

Gonzalez si riferiva anche all’operato delle Forze dell’ordine, anche se ha evitato di nominarle. È attraverso di loro che Noboa – sempre con il beneplacito del Cne – ha militarizzato il Paese, chiuso i confini e applicato altri provvedimenti securitari tra cui l’improvvisa sostituzione della scorta di Gonzalez poche ore prima del voto. Intervenendo sulla vicenda, il presidente Noboa ha ritenuto «triste» che, «con una differenza di 11 o 12 punti si voglia in qualche modo mettere in discussione la volontà popolare degli ecuadoriani». Il presidente ha inoltre annunciato un nuovo cammino affinché le future generazioni «abbiano una vita più giusta». A rimanere inascoltato è stato, invece, l’appello dei vescovi ecuadoregni che esortavano all’unità nazionale chiedendo alle parti di «riconoscere la necessità dell'altro» e tornare «fratelli e amici, liberi da odio, vendette e meschinità». Ma così non è stato nemmeno per i Paesi dell’emisfero americano, i cui leader hanno seguito il ballottaggio pensando all’equilibrio politico di una regione contesa tra le sinistre e l’asse Trump-Milei. Emblematiche in questo senso le dichiarazioni dell’ex-presidente colombiano Ivan Duque, per il quale «il socialismo del XXI secolo e il correismo sono stati sconfitti». Il termine, socialismo del XXI secolo, fa riferimento al movimento progressista promosso dall’ex-presidente venezuelano Hugo Chavez nei primi anni duemila. Esulta anche il presidente statunitense Donald Trump, che su Truth ha scritto: «Noboa sarà un grande leader per la meravigliosa popolazione dell'Ecuador. Non vi deluderà!». Con il nuovo mandato di Noboa si conferma la «mano dura» delle forze dell’ordine sul Paese. E al di là delle minacce esterne – come gli scontri armati nella località colombiana di Putumayo – la presenza militare con 56.588 agenti dispiegati su tutto il territorio, è stato un segnale della linea dura di Noboa per tutto il Paese. E c’entra anche la consulenza privata affidata al controverso imprenditore Erik Prince, fondatore della compagnia privata Black Water. Ma la strada è tutt’altro che in discesa, se di sicurezza si parla. Noboa dovrà fare i conti con 38 omicidi ogni 100mila abitanti secondo il rapporto dell’Ong Insight Crime. E le statistiche non lo favoriscono: solo nel primo mese e mezzo del 2025 il bilancio è stato di un omicidio all’ora: 40% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E non basterà la «mano dura» per risolvere la questione sicurezza, dove le carceri – spesso abbandonate – sono divenuti veri e propri hub della criminalità organizzata. Altro dossier aperto è quello dell’emigrazione, con quasi 100mila persone che hanno abbandonato il Paese nel 2024. Il 10% della popolazione, cioè 2,4 milioni di persone, vive fuori dai confini ecuadoregni. Ma se ne parla assai poco. Anzi, i media si concentrano più sull’immigrazione incontrollata.

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