Le fiamme della rivolta contro il provocatorio gesto di profanazione del Corano continuano a incendiare il mondo islamico, legandosi a rivendicazioni locali che poco hanno a che vedere con il rogo del libro sacro dell’islam, minacciato ma mai attuato. Il caso più evidente è quello del Kashmir indiano, dove la lotta degli indipendentisti islamici prosegue senza sbocchi da tempo – con un’impennata di violenza negli ultimi tre mesi – e dove le provocazioni del pastore della Florida Terry Jones sono arrivate come un’eco lontana, ma sufficiente per riattizzare rivendicazioni antiche e di altro stampo. Nel giorno in cui il Papa ha lanciato un nuovo appello per il «rispetto della libertà religiosa» e il governo indiano si è riunito a New Delhi per provare a disinnescare la mina Kashmir, nella regione si sono registrate nuove violenze. «Seguo con preoccupazione – ha detto Benedetto XVI – gli avvenimenti verificatisi in questi giorni in varie regioni dell’Asia meridionale, specialmente in India, in Pakistan e in Afghanistan». «Prego per le vittime – ha aggiunto – e chiedo che il rispetto della libertà religiosa e la logica della riconciliazione e della pace prevalgano sull’odio e sulla violenza».Anche ieri, però, la polizia ha aperto il fuoco su un gruppo di manifestanti nel villaggio di Mendhar, uccidendo quattro separatisti e ferendone almeno una ventina. Sfidando ancora una volta il coprifuoco, i manifestanti sono scesi in strada attaccando edifici governativi e marciando su una scuola cristiana. Le autorità hanno chiesto aiuto alle forze paramilitari, che hanno sparato per disperdere la folla. Secondo la polizia i quattro separatisti sono morti nella ressa, mentre stando ad alcuni testimoni la polizia ha sparato direttamente sui manifestanti. Cortei di dimostranti sono scesi in strada anche nei pressi del capoluogo Srinagar e in altre due aree.Nel frattempo a New Delhi si è concluso senza risultati concreti il vertice tra maggioranza e opposizione convocato dal premier Manmohan Singh. La riunione è terminata senza alcun accordo sulla revoca della legge che conferisce poteri speciali alle truppe dispiegate nella regione contesa tra India e Pakistan. In particolare, sono stati i partiti della destra indù a opporsi alla sospensione del provvedimento, auspicata da molti come segnale «distensivo». Deciso invece l’invio di una delegazione guidata dal ministro dell’Interno P.K. Chidambaram per incontri con i rappresentanti kashmiri.Singh si è detto «choccato e addolorato» per le proteste, e ha invitato alla calma per permettere l’avvio di colloqui. Negli ultimi mesi, New Delhi ha più volte incolpato i gruppi separatisti pachistani di aumentare le tensioni nel Kashmir. Da Islamabad, il primo ministro pachistano Raza Yousuf Gilani ha esortato l’India ad aprire il dialogo con i separatisti «invece di usare la forza». Gilani ha anche ricordato la necessità di riprendere i negoziati tra i due Paesi, congelati dopo l’attentato di Mumbai del 2008.Intanto, a qualche migliaio di chilometri dal Kashmir, centinaia di manifestanti si sono riuniti nel principale stadio della capitale somala Mogadiscio. Al grido di «Allah è grande», i principali leader integralisti si sono indirizzati alla folla chiedendo di difendere il Corano in ogni parte del mondo. «Fratelli – ha detto sheikh Mohamud Ali Raggeh, portavoce dei ribelli islamici shabaab – tutti noi condanniamo questa azione (il bruciare il Corano, ndr) contro la nostra fede, un’azione che non si verificherà, ma nel caso accadesse il nostro sacro spirito continuerà ad esistere». Lo stesso dirigente degli shabaab ha affermato che l’iniziativa di Jones mostra «l’odio dell’Occidente per i musulmani». Anche in questa circostanza, evidentemente, le proteste contro il pastore battista si sono innestate sulla solita retorica integralista. E in quest’ottica pure il corteo di diecimila afghani scesi nelle strade di Kabul sventolando bandiere bianche, simbolo del movimento taleban, può essere letto come un’occasione per unire alle proteste contro il rogo del Corano rivendicazioni locali. Non a caso la protesta (bilancio di due morti e venti feriti) è stata organizzata alla vigilia delle elezioni parlamentari di sabato, con i taleban pronti ad annunciare che chiunque si recherà alle urne sarà un obiettivo.