Un’attivista alla Cop27 di Sharm el-Sheikh esibisce un cartello che denuncia il ritardo nei pagamenti ai Paesi più poveri - Reuters
Quando, a qualche evento internazionale, Vanessa Natakate incontra i rappresentanti dei governi, è solita fare un “test”. È lei stessa a raccontarlo nello spazio aperto della “zona blue”, quella dove si svolgono i negoziati della Cop27. «Chiedo loro di darmi la mano se ritengono che le sofferenze di quanti vivono sulle linee di faglia del cambiamento climatico meritino sostegno – dice l’attivista ugandese, tra i volti più noti dei Fridays for future –. Tutti lo fanno. Quando, però, rivolgo la seconda domanda, cioè se il loro Paese sia disposto a darglielo in modo concreto, molti sono riluttanti e ritirano la mano».
È quanto accade nel finale di Sharm el-Sheikh. A far slittare il finale, previsto per ieri, a oggi o, addirittura, a domani, la spaccatura sulla creazione di un fondo ad hoc per risarcire i Paesi poveri dei danni del riscaldamento globale. In linea di principio, i Grandi non lesinano solidarietà. Anche l’ultima bozza, arrivata nella notte tra venerdì e sabato, riconosceva «con rammarico» le perdite sproporzionate subite dalle nazioni più vulnerabili. Quando, però, si passa ai fatti, il Nord del mondo cerca di tirarsi indietro, come dimostrano i paragrafi ancora in bianco del documento conclusivo.
La proposta del Gruppo dei 77 – in realtà 134 nazioni più la Cina – di un meccanismo finanziario immediato non trova consensi nell’altra metà geopolitica dell’emisfero. Sul tavolo c’erano, fino all’alba di ieri, altre due opzioni: l’avvio di un processo per arrivare all’istituzione di un fondo alla Cop28 di Dubai e il rinvio della decisione direttamente all’anno prossimo. È quest’ultima la posizione su cui arroccati gli Stati Uniti. Con una mossa a sorpresa, nel primo mattino, l’Unione Europea ha aggiunto un’alternativa, forse quella decisiva. Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, si è detto disponibile ad accettare – di malavoglia, per sua ammissione – la creazione di una linea di finanziamento già in questo summit.
A tre condizioni, però. Primo, a finanziarla non devono essere solo i Paesi sviluppati, in base alla definizione della Convenzione contro il cambiamento climatico del 1992, da cui hanno avuto origine le Cop. Anche le potenze emergenti devono contribuire. Il messaggio è direttamente rivolto alla Cina, considerata «in via di sviluppo» del 1992 e formalmente parte del Gruppo dei 77. Fin dall’inizio, Pechino si è detta a favore del fondo purché non dovesse parteciparvi.
L’Ue, in secondo luogo, vuole che i destinatari degli aiuti siano solo gli Stati «più vulnerabili», ovvero il gruppo dei Paesi meno sviluppati e quello dell’Alleanza delle piccole isole. Il Pakistan flagellato dalle alluvioni e molti altri, in questo modo, sarebbero tagliati fuori. Infine, Bruxelles chiede un impegno maggiore sul contenimento delle emissioni – la cosiddetta mitigazione –, con un anticipo di 5 anni, dunque al 2025, del picco attraverso tagli considerevoli e progressivo allontanamento dalle fonti fossili. Anche in questo caso, il bersaglio è la Cina – ma anche l’India –, le cui promesse di riduzione di gas serra sono minori rispetto a Usa e Ue. Il colpo di mano europeo ha sparigliato le carte. Ufficialmente le delegazioni non si sono espresse e sono rimaste fino a tarda notte chiuse a trattare in una maratona di incontri supplementari.
Secondo gli esperti, ha chance di essere accolta anche se non sono mancate le critiche di una parte del Gruppo dei 77 e degli attivisti. Mary Robinson, ex presidente irlandese e due volte inviata Onu per il clima, l’ha definita «uno spartiacque storico». «Se fosse approvata, darebbe inizio a una riforma del sistema finanziario internazionale in una prospettiva multilaterale – spiega ad Avvenire –. Se, invece, si continuerà a rinviare la questione dei risarcimenti, sarebbe gravissimo. Ne resterei scioccata».
Anche l’italiana Aurora Audisio, di Youth for climate, qui come osservatrice con l’Italian climate network, considera fondamentali le compensazioni: «Sarebbe il vero risultato». «Non possiamo perdere il momento», dice Vanessa Nakate che anche ieri ha marciato al grido: «Basta bla bla bla, pagate i danni ora». «Mai come ora c’era stata tanta urgenza – conclude –. E, per la prima volta, c’è interesse internazionale sulla questione. Dobbiamo farcela. Non c’è più tempo».