Chi ha massacrato in modo orrendo 430 persone, da ottobre a oggi, nel territorio di Beni (nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo)? Sono dei terroristi jihadisti, affermano i responsabili della società civile locale in una conferenza stampa che si è tenuta l’8 giugno a Kinshasa. Lo riferisce l'
Agenzia Fides.
La denuncia segue quella fatta a fine maggio dall’Assemblea Episcopale Provinciale di Bukavu.Dopo aver smentito le voci, a loro dire seminate ad arte, di complicità nei massacri da parte delle truppe regolari congolesi e dei Caschi Blu della Missione Onu (Monusco), i rappresentanti della società civile affermano che i responsabili di questi crimini sono dei jihadisti assimilabili ai Boko Haram nigeriani e agli Shebaab somali. Il loro obiettivo è di creare “un sistema di terrore di epurazione sistematica delle popolazioni civili” allo scopo di arrivare “allo spopolamento di queste aree, per occuparle e iniziar e progressivamente lo sfruttamento delle loro risorse naturali e l’insediamento delle basi di addestramento terroristico”.I jihadisti, provenienti da Uganda, Kenya, Somalia, Tanzania, Rwanda, Sudan, Burundi, Centrafrica e Congo, agiscono sotto la sigla di Adf-Nalu (un gruppo di origine ugandese da tempo installato nell’area) che però ha ora cambiato denominazione, divenendo Muslim Defense International (Mdi).
“L’estremo nord del Territorio di Beni, nel Parco di Virunga e nella valle del fiume Semuliki, hanno accolto fino a poco tempo fa dei centri d’addestramento per formare questi terroristi” afferma un comunicato inviato all’
Agenzia Fides. “Le loro prove di bombe artigianali più di 4 volte hanno provocato delle vittime nella città di Beni nel corso del primo trimestre del 2014”.L’esercito congolese è riuscito a smantellare diversi campi dei jihadisti (chiamati Madina, Canada, Issa, Makoyova, Makembi, Tsutsubo, Abia Kambi Ya Miba, Kambi Ya Chui) ma questi ultimi si sono vendicati sulla popolazione locale. La società civile del Nord Kivu chiede un intervento urgente della comunità internazionale per affrontare questa minaccia che rischia di debordare in altre aree della regione.