Quando quattro leader dei Paesi più influenti decidono di parlare, di «condannare», di inviare «squadre per aiutare» le autorità di uno Stato a far fronte a un sequestro di studentesse ormai «globalizzato», significa che si è passato il segno. Vuol dire che Boko Haram non è più una “questione interna” alla Nigeria: è chiaramente una minaccia che supera i confini del ricco gigante africano. Il presidente americano Obama li ha equiparati alle «peggiori organizzazioni terroristiche », Cameron ha inviato le teste di cuoio britanniche, il francese Hollande è pronto ad aiutare e la Cina di Xi farà lo stesso. La lotta al terrorismo, al qaedismo africano è la motivazione ufficiale. Sotto (in tutti i sensi), molti però ne vedono anche un’altra: il petrolio del principale produttore africano.
Come avvenne in Mali – con le formazioni qaediste e le minacce a risorse strategiche quali l’uranio del vicino Niger – anche ad Abuja è tempo di agire. Almeno “allo scoperto” perché di fatto i responsabili dell’intelligence da anni hanno compreso che ormai il cuore della minaccia terroristica è africano. Con l’alleanza stretta quasi due anni fa tra i miliziani di al-Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e i somali di al-Shabaab, le attenzioni si sono concentrate in quella fascia che parte dalla costa occidentale a ridosso del Sahara e arriva fino al Corno d’Africa. Nelle prossime settimane – è quindi prevedibile – si assisterà a un’accelerazione dell’azione contro i terroristi. Quello che in questi mesi il presidente Goodluck Jonathan non è riuscito a fare nonostante la rimozione di tre comandanti militari. Il sequestro delle trecento studentesse, i massacri nel Nord e al confine con il Camerun e le continue azioni contro i cristiani, fanno parte di una strategia studiata a tavolino. Così come la recrudescenza, a ridosso del vertice economico che si è aperto ieri nella capitale blindata, ha lo scopo di dimostre l’insicurezza e la vulnerabilità nigeriana.
Le meritorie dichiarazioni e le azioni concrete dei Grandi di questi giorni sono forse anche frutto anche dell’«emozione globale » suscitata dalle immagini delle mamme vestite di rosso che chiedevano in corteo la liberazione delle giovani e condannavano l’impotenza delle autorità. Una protesta che i social network hanno accelerato. Ma quello che sta avvenendo in Nigeria va al di là del sequestro di queste povere ragazze, dell’orribile fine che potrebbero subire e dei benemeriti interventi internazionali per salvarle. C’è in gioco la sicurezza di un Paese chiave, il controllo della nuova locomotiva africana. E, a rischio di apparire cinici, anche delle sue risorse.