venerdì 20 agosto 2010
Colloqui diretti il 2 settembre alla Casa Bianca. L'obiettivo: «Status finale entro un anno». L'invito del Quartetto di mediatori è stato esteso anche all'Egitto di Mubarak e al giordano Abdullah. Il presidente Usa prova a forzare invitando a Wahington i due "nemici". «Sì» immediato del premier Netanyahu, mentre il palestinese Abu Mazen convoca i suoi.
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Uscire fuori dalla palude. Osando persino una scadenza: «un anno» per chiudere la partita. «Il Quartetto chiede agli israeliani e ai palestinesi di partecipare, il prossimo 2 settembre a Washington, al lancio di negoziati diretti per risolvere tutte le questioni sullo status finale». A formalizzare l’invito al summit alla Casa Bianca è stato il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, a nome del gruppo di mediatori per la pace in Medio Oriente: Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia. Vero sponsor è ovviamente il presidente americano Barack Obama, che attraverso l’inviato speciale George Mitchell, è da mesi al lavoro per far ripartire il processo di pace in stallo da quasi due anni. Con un deciso punto a favore dell’amministrazione Usa – che deve fare i conti con la persistente crisi economica – il capo della Casa Bianca, al minimo nei consensi popolari, avrebbe convinto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, a incontrarsi nella capitale americana per riprendere i negoziati diretti interrotti nel New York Times, avrebbero giocato con Israele la “carta Iran”. Dati alla mano i funzionari della Casa Bianca sarebbero riusciti a convincere le autorità israeliane che a Teheran servirà almeno un altro anno per completare il suo programma militare atomico. Dunque congelata l’ipotesi raid e aperto lo spazio per trattare. Per facilitare i negoziati e per «il loro ruolo cruciale nel processo» sono stati invitati anche il re Abdullah di Giordania, il presidente egiziano Hosni Mubarak e l’inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente, Tony Blair, che prima della sessione plenaria del 2 settembre si incontreranno separatamente con Obama e, il giorno seguente con la stessa Clinton. Come ha sottolineato ieri il capo della diplomazia Usa, i negoziati dovrebbero svolgersi «senza precondizioni». «È importante che le azioni di tutte le parti contribuiscano a far avanzare il tentativo e non lo ostacolino», ha messo in chiaro il segretario di Stato che ha fatto appello «alle parti a procedere anche nei momenti difficili e continuare a lavorare per ottenere una pace giusta e duratura nella regione». L’invito è già stato accolto con favore dal premier israeliano, ha reso noto un suo portavoce, e anche dal ministro degli esteri Franco Frattini, che prendendo atto del «tenace impegno» da parte americana, ha promesso che l’Italia fornirà «tutto il sostegno possibile» ai negoziati. La reazione da parte palestinese è però stata più cauta. Sebbene il negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat abbia commentato che la dichiarazione del Quartetto contenga «gli elementi necessari per arrivare a un accordo di pace», una sua fonte avrebbe fatto notare che la posizione palestinese, «contraria a colloqui senza un’agenda». Da parte sua il presidente dell’Anp, Abu Mazen ha convocato una riunione d’urgenza dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina per decidere quale risposta dare all’invito Usa. Senza appello invece la bocciatura di Hamas che parla di «inganno». Obama, nel tentativo di superare uno degli “impasse” al dialogo, ha fissato il vertice ben in anticipo del 26 settembre, data in cui scadrà la moratoria di 10 mesi fissata da Israele sulle costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania. Per il presidente Usa, che in veste di premio Nobel per la pace intende dare il proprio contributo nella risoluzione della questione che perdura da 43 anni, gli incontri non si preannunciano però facili.
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