Il pianeta Terra respira meglio. Impercettibilmente meglio, ma il segnale è incoraggiante e dà la misura di come le iniziative tese al miglioramento della qualità dell’atmosfera stiano portando i primi timidissimi risultati, seppure con una buona mano da parte della crisi economica. Cominciamo allora da un dato che sembra insignificante: 0,1 per cento. Di tanto sono state abbattute le emissioni globali di anidride carbonica nell’aria nei dodici mesi del 2009 rispetto all’anno precedente. È la prima volta da quando è iniziata l’era industriale che il fenomeno della concentrazione di CO2 subisce una battuta d’arresto, il che fa supporre che il picco di impennata dei cosiddetti gas serra (anidride carbonica in primo luogo) sia stato raggiunto. L’inversione di marcia è possibile, anzi è in atto. I gas serra sono indicati come i principali responsabili del riscaldamento globale. Finiti nel mirino della comunità scientifica internazionale già da decenni, diventati faticosamente – e tardivamente – oggetto di attenzione da parte del mondo della politica e della grande industria, dovevano essere tagliati del 5,2 per cento rispetto ai livelli del 1990. Un traguardo da conseguire entro il 2012 stando agli impegni assunti dai 160 Paesi firmatari del Protocollo di Kyoto del dicembre 1997. Obiettivo clamorosamente mancato, se ancora al summit mondiale di Copenaghen del 2009 la Cina, potenza economica emergente, si metteva di traverso rispetto all’adozione di misure più incisive. Al vertice messicano di Cancun, lo scorso dicembre, Pechino è sembrata però disponibile a ragionare con un’ottica diversa, forse anche per intascare i dividendi della massiccia azione intrapresa nello sviluppo delle energie rinnovabili. La conferenza di Cancun, definita da alcuni un parziale successo e da altri un mezzo fallimento, si è data obiettivi di larga massima, un abbattimento delle emissioni planetarie compreso tra il 25 e il 40 per cento entro il 2020. Il tutto rispetto ai dati del 1990, già vecchi di 20 anni, il che ha portato vari movimenti ambientalisti a parlare di accordo bufala. Fatto sta che, vertici a parte, una piccolissima riduzione dei livelli di CO2 nell’aria che respiriamo c’è stata. La mappa redatta dall’US Energy Information Administration non lascia dubbi. L’atmosfera terrestre conterrebbe al momento 3 milioni di mega tonnellate (una mega tonnellata equivale a un milione di tonnellate) di anidride carbonica, di cui 6mila mega tonnellate derivanti dall’attività umana. Ma proprio la ricerca di fonte Usa che registra le emissioni del 2009 nei 217 Paesi del Pianeta mostra come la geografia dell’inquinamento sia profondamente mutata negli ultimi anni. Il record mondiale di produzione di CO2 è saldamente detenuto dalla Cina, che ha spodestato gli Usa, nel 2008 in vetta alla graduatoria. La Cina in realtà supera l’intero Nord America (l’area Nafta, Messico, Stati Uniti e Canada) così come supera l’Eurasia, vale a dire l’Europa e i Paesi della defunta Urss. Insomma, grazie all’apporto cinese (7.711 milioni di tonnellate, più 13,3 per cento) e a quello indiano (1.602 milioni di tonnellate, più 11,7 per cento) l’Asia e l’Oceania pompano più anidride carbonica di quanto non facciano Usa, Eurasia ed Africa messe insieme. Si assiste così ad un fatto paradossale solo in apparenza: nonostante Europa e Nord America, con le loro economie pur sempre molto solide, abbiano ridotto le emissioni nella medesima misura (meno 6,9 per cento) il mondo le contenute appena di quel misero 0,1 per cento. Un’inezia, anche se non era mai capitato. Se si vuole tirare una conclusione, appare evidente che senza un massiccio contributo di contenimento della CO2 da parte dei Paesi un tempo definiti emergenti, ma ora chiarimenti emersi, sarà difficile migliorare il tasso di discesa del principale gas serra. A meno di comprimere in maniera intollerabile le economie dei Paesi di più antico sviluppo. I nostri Paesi, insomma. Qualche riflessione sull’Italia, infine. Con un abbattimento pari al 9,3 per cento, siamo stati nel 2009 il quarto Paese al mondo più virtuoso per riduzione di CO2. (Giappone meno 9,7, Canada meno 9,6, Ucraina meno 28,2). Peggio di noi (hanno tagliano percentualmente meno emissioni) figurano nell’ordine Messico, Sud Africa, Indonesia, Australia, Corea del Sud, Canada, Cina, Usa, Russia, Germania, Regno Unito, Brasile, Giappone, Iran, Arabbia Saudita. Ci segue invece a ruota, più virtuosa, la Francia. Che, guarda caso, può contare massicciamente sul nucleare. Il futuro per l’Italia e per l’Europa è comunque tutto da giocare. Un altro passo italiano si avrà il primo marzo, quando l’Enel inaugurerà nella centrale a carbone di Brindisi il primo impianto sperimentale in Italia – e tra i primi in Europa – di cattura della CO2. Le emissioni saranno ridotte di circa 10 milioni di metri cubi al giorno. La tecnologia, in un secondo momento, verrà usata per la centrale di Porto Tolle, a Rovigo, quando questa sarà convertita a carbone (oggi va a olio combustibile). A livello comunitario c’era un impegno basato sulla regola dei tre 20: entro il 2020 ridurre le emissioni del 20 per cento e portare al 20 per cento l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Una bella sfida. Ma qualcuno se ne ricorda?