Graziate. E presto libere. Quando Euna Lee (di origini coreane) e Laura Ling (di origini cinesi) – le due reporter americane di Current tv di cui è presidente Al Gore – erano finite nelle mani della polizia nordcoreana, il regime aveva subito fiutato l’“affare”. La giustizia di Pyongyang si era quindi mossa con sorprendente agilità. E alle due giornaliste erano stati comminati dodici anni di lavori forzati per «atti ostili» e ingresso «illegale» nel Paese. Il regime – nel sempre più intricato gioco al rialzo sul nucleare – sapeva di avere un asso nella manica. Ieri quell’asso è stato calato sul tavolo della “partita” che impegna da anni la Corea del Nord e gli Stati Uniti con i suoi alleati. Non si può dire che il leader nordcoreano Kim Jong-il non ami l’azzardo. Dopo la missione a sorpresa a Pyongyang di Bill Clinton, ha deciso di «graziare» le due reporter. «Un perdono speciale», si è subito affrettata ad annunciare la macchina propagandistica del regime. L’ex presidente americano d’altronde si era presentato dal “caro leader” con un mandato preciso: ottenere la liberazione delle due giornaliste. Che le cose stessero prendendo una piega positiva lo si era intuito quando lo stesso Clinton aveva incontrato le due reporter, definendo «commovente» il faccia a faccia. La missione di Bill Clinton dunque è stata coronato dal successo. Ma chi ha vinto davvero? Il gesto di «buona volontà» di Pyongyang è destinato a riaprire il canale diplomatico. E la Corea potrà sedersi al tavolo pronta a «incassare». La visita è arrivata dopo mesi di tensioni tra i due Paesi e le provocazioni continue con cui il regime ha punzecchiato gli Usa. L’obiettivo di Pyongyang era chiaro: usare la sorte delle due giornaliste come “merce di scambio”. Solo pochi giorni fa il regime aveva espresso in maniera esplicita l’obiettivo della sua politica: trattare direttamente con gli Stati Uniti. E affondare definitivamente «il tavolo a Sei», ormai agonizzante «nello stallo diplomatico». Un dialogo bilaterale con Washington, agli occhi delle autorità della Corea, è un modo per guadagnare lo status di partner, incassare nuove concessioni, racimolare prestigio internazionale e allo stesso tempo «ridicolizzare» i suoi rivali regionali più agguerriti, Seul e Tokyo. Kim Jong-il, apparso in condizioni di salute sempre più precarie, sembra negli ultimi mesi aver impresso un’accelerazione alla sua politica di rottura. Ha “blindato” la successione di suo figlio, Kim Jong-un. Ha radicalizzato le sue ambizioni nucleari, inanellando una serie di lanci di vettori e esperimenti che hanno sempre più innervosito la controparte americana. Clinton sembra aver trovato il bandolo della matassa. Una scelta, quella di puntare sulla sua mediazione, non casuale e che ha sbaragliato la concorrenza di altri emissari di rango presi in considerazione alla Casa Bianca. Da John Kerry ad Al Gore. Secondo un esperto americano, Victor Cha, della Georgetown University, Bill Clinton gode di grande rispetto in Corea del Nord perché negli ultimi tempi della sua presidenza mise in cantiere una visita mai realizzata a Pyongyang (ci andò invece il segretario di Stato Madeleine Albright).