sabato 16 novembre 2013
​Il Paese, sotto la guida del presidente Xi Jinping, imbocca la strada delle riforme sociali ed economiche. I terribili gulag scompariranno, saranno ridotte le esecuzioni capitali, finirà la politica del figlio unico. Ma molti analisti frenano: non cambia il vero volto autocratico del regime.
 Provaci ancora, compagno Xi di Fulvio Scaglione
Laogai, i laboratori della rieducazione (Stefano Vecchia)
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Non appena la sua scalata al potere è stata baciata dal successo, Xi Jinping – l’uomo che tira le fila del Partito comunista in Cina – ha estratto dal cilindro tra analisi, grafici e rapporti il nuovo nemico da combattere: l’“alienazione” delle masse dal Partito. Ciò che mina e inquieta il regime – basti pensare alla campagna scatenata contro la corruzione, a metà tra il repulisti e il regolamento di conti contro avversari più o meno temibili – è quello scollamento tra il vertice e il “popolo” nel quale si scorge il volto arrabbiato della Cina. Ieri il “potere rosso” ha ufficializzato il nuovo passo per ridurre (o quanto meno contenere) lo scontento. Il terzo Plenum del Comitato centrale del Partito, conclusosi martedì scorso a Pechino, ha messo nero su bianco – in un mix di slogan, burocratese, dichiarazioni d’intenti alquanto fumose – le riforme che modelleranno il volto del gigante asiatico: l’abolizione del sistema di rieducazione attraverso il lavoro (Laojiao), la riduzione graduale della pena capitale, l’ammorbidimento della politica del figlio unico. In più, il partito ha annunciato una serie di riforme che garantiranno l’apertura del sistema economico del Paese. Con l’eliminazione dei “campi” – ma la chiusura sarà effettiva solo dal 2020 – Pechino cancella uno dei perni più odiosi del sistema di potere su cui poggia il Partito. Secondo un rapporto stilato dalle Nazioni Unite nel 2009, in Cina ci sarebbero almeno 320 centri di rieducazione, con almeno 190mila detenuti. Un inferno, nel quale si può precipitare senza mai comparire davanti a un giudice, toccato in sorte anche a molti dissidenti o anche a chi semplicemente abbia manifestato dissenso verso il Partito. «Con questa mossa – ha detto all’agenzia Bloomberg Steve Tsang, direttore del China Policy Institute di Nottingham – il presidente Xi ha ridotto uno dei maggiori abusi di potere che intaccano la reputazione del Partito e ne fiaccano il sostegno popolare». Per Nicholas Bequelin, ricercatore di Human Rights Watch il cambio di marcia nasconde «il riconoscimento che la fiducia nelle istituzioni giuridiche è essenziale al Partito per mantenere la sua leadership nel lungo termine».Per gli analisti l’annuncio va comunque preso per le pinze. C’è un grosso rebus da risolvere: cosa sostituirà i campi di lavoro? Il comunicato del Plenum parla di un sistema di «comunità di correzione», senza peraltro precisarne finalità e struttura. La Cina, poi, ridurrà il numero di reati punibili con la pena capitale. Una tendenza peraltro già in atto da tempo, se è vero che – secondo i dati della Fondazione Dui Hua – il numero dei condannati a morte è sceso dai circa 8mila del 2006 ai 3mila dello scorso anno (le cifre oscillano perché i dati sono coperti dal segreto di stato). Infine l’altro capitolo riguarda, come annunciato, la politica del figlio unico. Un nuovo allentamento sarà inserito nel sistema, oltre ai “privilegi” concessi alle minoranze e alla popolazione rurale: potranno avere un secondo bambino le coppie nelle quali almeno uno dei due genitori sia a sua volta un figlio unico. Dunque quello regolato dal Plenum è un passo deciso verso un nuovo modello “riformista”, più aperto alle domande della società civile? Gli osservatori, in realtà, sono molto cauti. Come scrive Peter Lee su Asia Times, nulla lascia pensare che il regime sia pronto a modificare il suo cuore autocratico. Inoltre, aggiunge Lee, «gli sforzi di Xi per migliorare le prestazioni, l’onestà e l’immagine del Partito potrebbero anche riflettere il suo interesse nel disciplinare e mobilitare l’apparato in modo da affrontare il vero buco nero politico, sociale e economico del sistema: l’incompetenza e l’impunità della sua classe dirigente». Nel documento non si fa cenno ad un allentamento del controllo del Partito sulla vita politica del Paese, che anzi appare avviato a rafforzarsi con nuovi, stringenti controlli sui media e in particolare su Internet, che già subisce una serie di forti restrizioni come il blocco dei principali siti di comunicazione sociale da Twitter a Facebook a Youtube.
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