Pubblichiamo alcuni estratti dal recente libro-intervista di Louis Raphael Sako «Più forti del terrore», (Emi, pp 141, euro 13). Il patriarca caldeo di Baghdad ripercorre i fatti dello scorso giugno e luglio e la definitiva cacciata dei cristiani da Mosul, il 19 luglio 2014. Noi non sapevamo bene quale sarebbe stato il comportamento di questa nuova forza. Certo, volevano stabilire la sharia, ma avrebbero usato la violenza? Quanto tempo sarebbe durato? Nulla era chiaro. A distanza di qualche giorno, la maggioranza dei musulmani che erano partiti nella catastrofe della presa della città sono ritornati a Mosul, e pure qualche cristiano. La situazione sembrava relativamente calma, anzi più calma che in altri luoghi della piana di Ninive, dove le cose a poco a poco peggioravano. Per esempio, intorno al 10 giugno, la grande città cristiana di Qaraqosh si è ritrovata sulla linea del fronte tra l’Is, che continuava la sua avanzata, e i peshmerga, i soldati curdi che tentavano di respingerlo. [...]Proprio in quel momento alcuni cristiani di Mosul che si erano rifugiati a Qaraqosh hanno deciso di rientrare a casa loro, preferendo correre il rischio di vivere sotto il nuovo regime dello «Stato islamico» piuttosto che fuggire una seconda volta. Qualche giorno più tardi, i bombardamenti su Qaraqosh sono misteriosamente cessati, e gli abitanti sono rientrati nella loro città dopo aver passato ore terribili a Erbil, a dormire sui marciapiedi e nelle scuole senza sapere quando sarebbero potuti rientrare a casa loro.[...] Per qualche tempo i cristiani hanno potuto vivere con l’Is nella città. Avevano paura e andavano al lavoro senza sapere se sarebbero ritornati la sera. Questa nuova forza islamista non è un gruppo omogeneo. Fra di loro ci sono combattenti venuti dall’Africa, dai Paesi arabi, dall’Afghanistan, dall’Europa, dalla Russia, anche dall’America. Queste persone non conoscono la mentalità di Mosul, e penso che all’inizio non sapessero neppure che c’erano dei cristiani. Ma per i cristiani di questa città, la situazione si è deteriorata. Le forze armate irachene hanno condotto dei raid aerei su Mosul. Poi, il 28 giugno, due religiose caldee sono state rapite all’entrata di Mosul con tre orfani che avevano a carico. Il panico ha cominciato a prendere la piccola comunità restante. Poi la lettera «nun», che vuol dire «Nasara», «Nazareni», è comparsa sulle case dei cristiani che erano partiti e perfino su quella della mia famiglia, a volte con la scritta «Bene immobile di proprietà dello Stato islamico ». La preoccupazione è aumentata. [...] Noi eravamo in piena negoziazione per la liberazione delle suore caldee. Ho parlato con il gran muftì della regione e con i capi delle tribù locali. Senza pagare un riscatto, siamo riusciti a farle liberare il 15 luglio. Ero molto sollevato e vi ho visto un segno positivo. Mi sono detto che, alla fine, questi jihadisti non avevano forse l’intenzione di eliminare i cristiani e che, volenti o nolenti, avremmo potuto sopravvivere all’invasione. Ma l’indomani, il 16 luglio, la storia ha accelerato, come in una tragedia. Un uomo armato dell’Is si è presentato al vescovo siriaco di Mosul e ha convocato i vescovi e i responsabili cristiani a una riunione il giorno seguente, per presentare loro le nuove condizioni di vita sotto il regno del califfato. Ovviamente, nessuno ci è andato, per paura di cadere in una trappola. Nella notte tra il 17 e 18 luglio, dei pickup muniti di altoparlante hanno circolato nei quartieri cristiani annunciando un ultimatum, e degli uomini hanno distribuito un volantino che spiegava lo stesso messaggio: i cristiani dovevano convertirsi all’islam, pagare la jizya, la tassa, lasciare la città senza prendere nulla con sé prima di mezzogiorno del 19 luglio o essere decapitati. «Fra voi e noi, non ci sarà che la spada», precisava il volantino. Sono partiti tutti. Quelli che hanno cercato di portarsi via delle cose sono stati sistematicamente derubati ai checkpoint all’uscita della città. I jihadisti hanno strappato perfino gli orecchini alle donne e hanno perquisito gli uomini. I gioielli, il denaro, le chiavi delle case, ma anche i documenti d’identità, hanno preso tutto. A coloro che volevano resistere minacciavano di rapire le mogli e le figlie. Molti hanno dovuto abbandonare Mosul a piedi, nel caldo opprimente del mese di luglio in Iraq. Senza niente, quasi nudi.
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