Sono ore di altissima tensione in Centrafrica. A Boy-Rabe, il quartiere della capitale Bangui dove sembrano giocarsi le sorti del Paese, si sentivano ancora colpi d’arma da fuoco ieri mattina. Secondo fonti ospedaliere, un numero imprecisato di civili è stato ucciso: alcuni parlano di oltre 25 mor- ti, e decine di feriti. «L’ospedale statale è pieno di donne e bambini in cerca di riparo», afferma David Kolingba, residente di Bangui. «Gli uomini sono fuggiti per non farsi trovare dai militanti della coalizione Seleka poiché le abitazioni di Boy-Rabe sono continuamente setacciate e derubate. E se qualcuno viene trovato in casa –dichiara ancora Kolingba – si arriva ad episodi di violenza indiscriminata». Michel Djotodia, nominato presidente ad interim domenica scorsa, sta cercando in tutti i modi di disarmare i sostenitori dell’ex presidente Francois Bozizé. Nel farlo, però, agli insorti della Seleka – che hanno portato al potere Djotodia – danno sfogo a rancori e frustrazioni. E i rivali fanno altrettando. I regolamenti di conti sono all’ordine del giorno. «Da sabato scorso, i sostenitori di Bozize hanno lanciato attacchi contro membri della Seleka intenti a pattugliare il quartiere – ha confermato la stampa locale – sono state lanciate granate e si sono sentiti spari durante tutto il fine- settimana». Infrante le speranze di un accordo, grazie alla mediazione del governo, le fazioni sono tornate a uccidersi a vicenda. «Prima di andarsene – ha dichiarato ieri Noureldine Adam, ministro della Sicurezza –, Bozizé ha lasciato molte armi ai giovani che ora ci stanno attaccando». L’arcivescovo di Bangui, Dieudonne Nzapalainga, ha rivolto dure critiche agli uomini di Djotodia: «Non possiamo parlare di disarmo – ha detto monsignor Nzapalainga – quando la Seleka uccide in modo indiscriminato e saccheggia gli averi di cittadini pacifici». Nella capitale sono presenti migliaia di soldati stranieri. I militari francesi difendono principalmente i connazionali e i loro interessi, mentre la missione della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (Fomac) dovrebbero garantire la sicurezza del resto della popolazione. Al di fuori della capitale, invece, c’è la completa anarchia. «Migliaia di persone vivono in condizioni primitive », spiega Mark Kaye, operatore umanitario dell’organizzazione Save the Children. «Molti si sono rifugiati nella boscaglia dopo aver perso tutto. Siamo, inoltre, molto preoccupati per i bambini – ha sottolineato Kaye –. I minori sono stati abusati, maltrattati e reclutati dai diversi gruppi armati». La comunità cristiana teme invece le insistenti persecuzioni nei propri confronti dopo che fedeli e chiese sono stati presi di mira negli ultimi mesi. «Un gruppo di sacerdoti e le religiose della Soeurs de la Charité si sono rifugiate a Bouar da Bohong, cittadine nell’ovest del Paese, a causa delle violente rappresaglie dei miliziani della Seleka», hanno spiegato ieri fonti della comunità cattolica all’agenzia Fides. Un gruppo di militanti jihadisti, il 17 agosto, accompagnati da giovani musulmani di Bohong, si sono diretti alla casa parrocchiale, ne hanno sfondato la porta e l’hanno saccheggiata. Poi, hanno profanato la chiesa e razziato la casa delle suore. Costrette alla fuga, il giorno dopo. Nel suo discorso d’insediamento, il presidente Djotodia si era impegnato a riportare l’ordine e ad organizzare le elezioni generali entro 18 mesi. Ma in seguito alle recenti dichiarazioni di Bozizé – il quale ha espresso il suo desiderio di tornare al potere nella Repubblica Centrafricana – la situazione sembra sprofondare giorno dopo giorno nel caos. E a fare le spese della guerra fra bande sono soprattutto i civili. «C’è un totale annientamento della legge e dell’ordine – ha commentato settimana scorsa Ban Kimoon, Segretario generale delle Nazioni Unite –. La crisi in Centrafrica rischia di infiammare l’intera regione ». Nonostante le modeste dimensioni, il Paese è ricchissimo d’oro, diamanti e uranio. Risorse naturali preziose che attraggono come una calamita gli interessi di diversi Paesi, non solo africani, ma anche stranieri.