Sono una spina nel fianco della giunta militare birmana. La dittatura li vede come una pericolosa minaccia, anche se la loro unica arma è una telecamera, qualche volta persino un semplice telefonino. Ma è grazie ai
vj, i videogiornalisti indipendenti, che l’opinione pubblica mondiale ha potuto vedere le immagini della "rivolta zafferano" che nel settembre del 2007 ha fatto traballare il regime criminale al potere in Birmania. Ed è sempre merito di alcuni reporter, che hanno avuto il coraggio di sfidare i divieti e la ferrea censura in vigore nel Paese-carcere, se le immagini orribili della devastazione portata nel maggio 2008 dal ciclone Nargis (e dell’incredibile negligenza del governo birmano anche in quell’occasione) sono arrivate fino a noi. Provocando l’intervento – per lo meno umanitario – di alcuni Paesi occidentali. Non sorprende, quindi, che siano proprio due
vj birmani ad essersi aggiudicati l’ultima edizione del prestigioso Rory Peck Award, premio inglese intitolato al cameraman ucciso mentre filmava l’assedio del Parlamento russo nel 1993. I due giovanissimi attivisti, Ngwe Soe Lin e "Zoro", sono collaboratori del sito dissidente
Democratic voice of Burma. L’agenzia informativa, con sede a Oslo, conta sul contributo di un centinaio di videogiornalisti in incognito, in varie zone della Birmania e sul confine con la Thailandia, che aggirando la censura riescono faticosamente a inviare via email il materiale giornalistico che raccolgono sul campo. Il video premiato riguarda le conseguenze del ciclone Nargis sulla vita di alcuni piccoli sopravvissuti, rimasti orfani in seguito alla catastrofe. Ngwe Soe Lin e "Zoro", ben consapevoli del rischio che correvano, hanno scelto comunque di tornare varie volte, nel corso di quasi un anno, a filmare la quotidianità di questi bambini, documentando tra l’altro la visita del primo ministro della giunta, il generale Thein Sein, a un gruppo di sopravvissuti disperati, esortati a «tornare al lavoro e a non aspettarsi nulla dallo Stato per parecchio tempo». Lo scioccante documentario che è stato tratto dalle riprese,
Gli orfani del ciclone birmano (una produzione Quicksilver Media per Channel 4), è stato scelto dai giudici del premio Rory Peck perché gli autori, «nonostante tutti i pericoli, hanno saputo creare un filo narrativo, un viaggio in cui accompagnano con sé gli spettatori». I due
vj, però, non hanno potuto festeggiare insieme questo successo. Mentre "Zoro" vive attualmente nascosto, Ngwe Soe Lin, arrestato lo scorso giugno mentre usciva da un internet cafè di Rangoon, pochi giorni fa è stato condannato da una corte speciale a tredici anni di detenzione, per aver eseguito delle riprese senza autorizzazione del governo: un crimine introdotto da poco, che prevede una pena minima di dieci anni di reclusione per chi diffonde foto e filmati via internet. Solo un mese fa, la stessa controversa norma era valsa una condanna addirittura a vent’anni di prigione a un’altra collaboratrice di
Democratic voice of Burma, Hla Hla Win. La Birmania è il Paese peggiore al mondo per i blogger: il triste primato è stato assegnato dall’ultimo rapporto dell’organizzazione americana Committee to Protect Journalists (Cpj). Nella lista, stilata in base a criteri quali l’uso di tecnologie per il controllo del web, la repressione attraverso le leggi e il ricorso al carcere, la patria del premio Nobel Aung San Suu Kyi supera Paesi come l’Iran o la Cina. Un’emergenza denunciata dal recente film
Burma vj, (diretto da Anders Østergaard), tra i cinque documentari candidati all’Oscar 2010, che racconta la storia dei videogiornalisti che filmarono le rivolte del 2007. «Aung San Suu Kyi ha detto che ci sono due prigioni in Birmania, una con i muri e una senza – ha dichiarato il vice direttore di Democratic Voice of Burma –. I nostri
vj hanno scelto di rischiare la reclusione tra le mura di luoghi terrificanti come Insein, per abbattere l’infame prigione senza mura che la Birmania è diventata per la sua gente».