L’area dell’attacco terroristico - Reuters
Beersheva il 22 marzo, Hadera il 27, adesso Bnei Brak. Israele ha dovuto registrare tre attacchi in una settimana. E undici morti. Cinque solo oggi, tra cui un agente di polizia. È successo nella cittadina a maggioranza ultraortodossa vicina a Tel Aviv. Un uomo ha aperto il fuoco con un fucile automatico M-16 sulla gente per strada, in due o tre zone diverse.
Si tratta del 27enne palestinese Diaa Hamarsha, militante della Jihad islamica. In passato aveva lavorato illegalmente in un cantiere edile della città. Era del villaggio di Yabed, in Cisgiordania, e aveva scontato una pena a sei mesi per legami terroristici e vendita illegale di armi. È stato ucciso dalla polizia.
Il premier Naftali Bennet ha convocato una riunione straordinaria di sicurezza con il capo della polizia, il ministro della Pubblica Sicurezza, il capo di stato maggiore dell’Esercito e il direttore dello Shin Bet. «Israele si confronta con un’ondata omicida di terrorismo arabo», ha detto. «Combatteremo il terrorismo con determinazione caparbia e pugno di ferro». Proprio ieri il ministro della Difesa Benny Gantz era ad Amman per discutere con il re giordano Abdallah delle possibili violenze in vista del Ramadan che inizia sabato.
Gantz ha sottolineato l’importanza «combattere il terrore, e in particolare il Daesh». L’incontro era stato fissato prima che domenica due affiliati del Daesh arabi-israeliani aprissero il fuoco ad Hadera, nel nord del Paese, uccidendo due agenti. Pochi giorni prima, un palestinese aveva accoltellato più persone a Beersheva, nel sud, provocando quattro morti. Oggi, come nei casi precedenti, i terroristi di Hamas e Jihad hanno esultato.