Che la situazione nella Repubblica Centrafricana stia drammaticamente precipitando, e che si rischi una nuova catastrofe umanitaria, lo conferma la decisione, arrivata ieri, dell’Onu e degli Stati Uniti: via dal Paese il personale (e le rispettive famiglie) non strettamente necessario. «Siamo pietrificati dall’angoscia per quello che potrebbe accadere», ha detto l’inviato delle Nazioni Unite nel Paese africano, Margaret Vogta. La capitale, Bangui, si sta preparando al peggio. Il cibo già scarseggia dopo la corsa ad accaparrarsi le scorte presenti in città. I ribelli stanno avanzando. Secondo un rapporto della
Reuters sarebbero a circa 75 chilometri di distanza da Bangui. Secondo il portavoce dell’Onu, Martin Nesirky «i messaggi dell’Alleanza Seleka sono contraddittori: dicono di non voler entrare in città ma la loro progressione militare sembra indicare che hanno intenzione di conquistare Bangui». Il ritiro «temporaneo» di 200 persone che lavorano per le Nazioni Unite in Centrafrica «è una misura precauzionale per ridurre la nostra presenza in caso la situazione dovesse deteriorarsi». Contemporaneamente, il Dipartimento di Stato americano ha autorizzato la partenza delle famiglie e del personale non essenziale dall’ambasciata a Bangui; e il 25 dicembre l’ambasciata ha fortemente incoraggiato tutti gli americani a lasciare la Repubblica Centrafricana. Ieri il presidente del Paese Francois Bozize ha chiesto aiuto agli Usa e alla Francia per poter respingere le forze ribelli. «Stiamo chiedendo ai nostri cugini, Francia e Usa, che sono grandi potenze, di aiutarci a respingere indietro i ribelli in modo da rendere possibile i negoziati a Libreville per risolvere la crisi», ha detto Bozize parlando in sango (l’idioma nazionale centrafricano) a una folla raccoltasi nella principale piazza di Bangui. Il presidente si è anche scusato per l’assalto all’ambasciata francese di due giorni fa. Ma nulla per ora lascia presagire un intervento straniero e in particolare dell’ex potenza coloniale. Anzi dal presidente francese François Hollande è arrivata una vera e propria doccia gelata. «Se abbiamo una presenza (circa duecento soldati), non è per proteggere un regime, è per proteggere i nostri connazionali e i nostri interessi, e in nessun modo per intervenire negli affari interni di una nazione, in questo caso la Repubblica Centrafricana». «Quei giorni – ha aggiunto Hollande – sono terminati». Alla domanda su un possibile intervento francese per sostenere gli sfollati o i rifugiati, il capo dello Stato ha risposto che la Francia può «intervenire solo se c’è un mandato dell’Onu», e «questo non è il caso». Il leader francese ha anche ricordato di aver «fatto in modo che l’ambasciata di Francia, che era minacciata, possa essere interamente messa in sicurezza», anche grazie al presidio di militari francesi presenti a Bangui, che «hanno assicurato la sicurezza dei nostri connazionali e della nostra rappresentanza diplomatica». Il Ciad ha schierato 150 soldati per cercare di arginare l’avanzata dei ribelli. L’Alleanza Seleka, che si compone di fazioni separatiste composte da tre diversi gruppi, accusa il presidente Bozize di non onorare un accordo di pace del 2007, in base al quale i combattenti che hanno deposto le armi dovevano essere pagati. I ribelli minacciano di deporlo meno che non negozi con loro.