L’America, dunque, non è disposta a togliere dal tavolo l’opzione militare. «Se l’accordo sulla Siria fallisce l’uso della forza potrebbe essere necessario», ha aggiunto il segretario di Stato Usa dalla Svizzera. Parlando al suo fianco, il capo della diplomazia russa ha invece fatto eco alla richiesta del protetto del Cremlino, Assad: «La consegna delle armi chimiche da parte del regime siriano rende inutile ogni ipotesi di attacco», ha detto. Il presidente russo Vladimir Putin aveva ribadito lo stesso punto in una lettera al New York Times , ammonendo che un raid Usa in Siria porterebbe ad un’escalation del conflitto oltre i confini del Paese e provocherebbe attacchi terroristici. Putin ha quindi invitato gli Usa a «fermare l’uso del linguaggio della forza».
I modesti passi avanti sulla via del dialogo, che hanno spinto Barack Obama a mettere per ora in stand-by un attacco alla Siria, hanno ieri visto anche la consegna di una lettera siriana al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in cui Assad, firmandola, dichiara formalmente la sua intenzione di aderire alla Convenzio- ne sulle armi chimiche, che ne vieta la produzione e l’uso. Assad non sembra però disposto a fare molte altre concessioni. Ieri ha di nuovo smentito di aver mai usato i gas letali, accusando invece i ribelli delle stragi di civili con il gas nervino e dipingendo scenari apocalittici di una guerra regionale. «I terroristi tentano di provocare l’attacco americano sulla Siria e non è da escludere che usino armi chimiche contro Israele come provocazione», ha detto. «Nel giro di qualche giorno – ha continuato – la Siria invierà all’Onu e all’organizzazione per il divieto delle armi chimiche i documenti tecnici necessari per firmare l’accordo. Ma voglio che sia chiaro per tutti che è un processo bilaterale».
Gli Stati Uniti non hanno mai ammesso di aver fatto arrivare armi ai guerriglieri che lottano contro il regime siriano, fra i quali non mancano gruppi di estremisti islamici vicini ad al-Qaeda. Ma fonti anonime della Cia hanno dichiarato che forniture di mitragliatrici e di granate sono arrivate nelle mani dei ribelli dagli Stati Uniti attraverso la Giordania. I ribelli siriani ieri hanno invece ufficialmente respinto la proposta russa. «Annunciamo il nostro definitivo rifiuto dell’iniziativa sulle armi chimiche», ha detto Salim Idriss, capo del Consiglio supremo militare dei ribelli. Una versione del piano russo in discussione a Ginevra descrive quattro passaggi che dovrebbero essere preceduti da una risoluzione Onu: l’adesione della Siria all’organismo mondiale che vigila sul bando sulle armi chimiche, la dichiarazione dei suoi siti di produzione e stoccaggio, l’invito agli ispettori, la distruzione delle riserve. Il tutto potrebbe durare mesi, se non anni.
I capi della diplomazia americana e russa ne parleranno ancora oggi, senza però discutere di una possibile risoluzione all’Onu, già presentata dalla Francia, che formalizzi il piano. Ieri Obama si è detto «fiducioso che i colloqui tra il segretario di Stato Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov possano produrre risultati concreti». Ma il presidente Usa, criticato in patria per aver prima cercato il via libera del Congresso ai raid e poi ritirato la sua richiesta, ieri ha cercato di sviare l’attenzione dalla Siria, dicendo che si sta concentrando sulle priorità interne. Intanto dalla Siria giungevano notizie orribili sulla sorte dei cristiani del villaggio di Maalula, dove un gruppo di cristiani ha pagato con una morte brutale per mano di jihadisti il rifiuto di convertirsi all’islam.